ROMA – «Acqua fresca» per l’Idv, «una schifezza» per l’Udc, «largamente inadeguato» per il Pd, «in linea con le richieste degli organismi internazionali sulla corruzione» secondo il Governo, il ddl anticorruzione esce dal Senato (145 sì, 119 no e 3 astenuti) e passa alla Camera. Il testo finale prevede una Commissione di controllo sulla corruzione nella pubblica amministrazione, estende a tutto il territorio nazionale la «white list» delle imprese non condizionate dalla criminalità organizzata, ritocca le pene (ma quasi sempre solo nel minimo) dei reati, demanda al governo (con lo strumento della delega, duramente contestato dall’opposizione) il compito di disciplinare l’incandidabilità e l’ineleggibilità dei condannati. «Un testo che risponde alle richieste del Consiglio d’Europa e alla Convenzione Onu sulla corruzione», sostiene il sottosegretario alla Funzione pubblica Andrea Augello, secondo cui «gli ultimi due anni sono stati i più produttivi sul fronte della lotta alla corruzione». Non la vedono così le opposizioni, che parlano di «occasione mancata rispetto alla vastità e gravità della corruzione» (Pd), di provvedimento che rispecchia il filone culturale secondo cui la corruzione è funzionale al sistema economico», di «inganno nei confronti dei cittadini: come curare il cancro con l’aspirina» (Udc). Varato dal governo più di un anno fa, durante il quale la commissione Affari costituzionali non ha potuto neanche esaminare gli emendamenti, il provvedimento è stato portato a razzo in aula e votato con pochi emendamenti della maggioranza. Alcuni non ce l’hanno fatta, come quello sull’Autorità di controllo richiesta dalla Convenzione Onu con le caratteristiche di organo indipendente, bocciato la scorsa settimana perché, per l’opposizione, non garantiva affatto la terzietà. Il governo lo ha recuperato in extremis, proponendo una Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit), non più dipendente dalla Presidenza del Consiglio, ma composta da 5 membri nominati dal ministro della Funzione pubblica ma previo parere favorevole dei due terzi delle commissioni parlamentari competenti. «Una soluzione equilibrata a costo zero per i cittadini», commenta Augello, ringraziando la mediazione del presidente del Senato Renato Schifani e la «disponibilità» dell’opposizione. Che però si è divisa sul nuovo emendamento. «Lo votiamo – ha spiegato la capogruppo Anna Finocchiaro – perché vogliamo almeno stabilire il sacrosanto principio che per cui l’Autorità garante cui spetta il controllo e la vigilanza della corruzione anche nella pubblica amministrazione sia separata dalla Presidenza del Consiglio». Nettamente contrario il Terzo Polo, che adombra addirittura un «inciucio» e vota no, mentre l’Idv si astiene. Alla fine, però, l’opposizione si ricompatta e il voto è contrario. Tra gli emendamenti approvati, quello di Carlo Vizzini (Pdl), che individua una serie di attività di imprese particolarmente esposte al rischio di inquinamento mafioso. «Così finirà per sempre l’accerchiamento dei mafiosi che tentano di controllare settori come il ciclo del cemento e del calcestruzzo per agganciare gli altri imprenditori e inquinare il mercato e la concorrenza», spiega il proponente. La maggioranza ha poi approvato un emendamento che delega il governo a definire le norme sull’incandidabilità e il divieto di ricoprire cariche elettive e di governo per chi ha sentenze definitive di condanna per delitti non colposi. Norma contestata dall’opposizione, secondo cui è il Parlamento, non il governo, a dover disciplinare questa materia.
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