ROMA – Due decreti subito per chiudere la partita con i comuni entro luglio e i restanti tre a settembre per esaminare il fascicolo delle regioni nella sua interezza. È la tabella di marcia sul federalismo fiscale messa a punto dal governo. Che prenderà il via giovedì, quando il consiglio dei ministri darà il via libera preliminare al dlgs sui fabbisogni standard degli enti locali, e proseguirà la settimana prossima con il varo del provvedimento sull’autonomia tributaria dei sindaci. Dove, accanto all’imposta «municipale» sugli immobili e alla cedolare secca al 23%, dovrebbe trovare spazio anche la perequazione dalle città ricche a quelle povere affidata a una “cassa” stato-Anci. Dunque si comincerà con mettere i paletti alla spesa di sindaci e presidenti di provincia. Fissare i fabbisogni standard significa individuare la quantità efficace ed efficiente dei servizi da erogare ai cittadini nelle funzioni che la legge 42 considera «fondamentali» per i comuni (amministrazione, polizia locale, istruzione pubblica, viabilità e trasporti, territorio e ambiente, servizi sociali) e le province (amministrazione, istruzione pubblica, trasporti, territorio, tutela ambientale, sviluppo economico). Gli standard individuati con il meccanismo descritto nell’articolo qui accanto andranno poi finanziati e perequati al 100 per cento. Con quali risorse? Con i tributi propri dei singoli enti e un fondo perequativo ad hoc. E qui entra in gioco il decreto sull’autonomia fiscale atteso entro la fine del mese o al massimo per i primi giorni di agosto. Ai comuni andranno tutti i tributi immobiliari. In due tempi. All’inizio i sindaci si vedranno attribuire i 15 miliardi di gettito dell’Irpef sugli immobili e delle imposte ipotecaria, catastale, di registro e di successione, che si sommeranno ai 10 attualmente incassati con l’Ici sulla seconda casa. In un secondo momento i primi cittadini potranno accorpare tutte le forme d’imposizione in un un’unica tassa nella quale far confluire tutti gli altri “balzelli” già oggi comunali (dalla Tarsu alla Tia fino alla tassa di occupazione suolo pubblico) Il fine esplicito è quello di semplificare la vita ai contribuenti che al posto di 24 forme d’imposizione tra tributi, addizionali e compartecipazioni potranno trovarsene davanti una sola. Da versare a un unico referente: i comuni appunto. Che in questa seconda fase si vedranno recapitare anche gli introiti della cedolare secca sugli affitti al 23 per cento. Dove non basteranno i tributi propri interverrà la perequazione. In una misura che si presume meno ampia man mano che l’autonomia tributaria darà i suoi frutti. Il meccanismo dovrebbe essere quello auspicato dall’associazione dei sindaci. Poiché il gettito dei tributi immobiliari risulta molto diverso lungo lo Stivale un fondo stato-Anci si preoccuperà di riequilibrare le entrate fiscali tra le città più “ricche” e quelle “povere”. In modo da livellare i gettiti e garantire la copertura integrale dei fabbisogni standard su tutto il territorio. I primi cittadini dovrebbero poter contare su un altro strumento per reperire fondi aggiuntivi: l’emersione degli immobili fantasma. Proseguendo la strada già avviata con la manovra i comuni potranno accedere agli elenchi e alle mappe delle case sconosciute al fisco. Non si partirà da zero visto che l’Agenzia del territorio ha già censito 2 milioni di particelle non dichiarate. A quel punto le stesse amministrazioni municipali potranno mandare l’avviso di accertamento ai presunti proprietari e costringerli ad emergere dal nero. Riservandosi il diritto di scegliere se regolarizzare o meno le abitazioni fantasma magari approvando una variabile al piano regolatore. Un’ipotesi questa che non piace al presidente dell’Anci Sergio Chiamparino (si veda il Sole 24 ore di ieri). Chiusa la partita municipale l’esecutivo potrà dedicarsi all’avvio di quella regionale. A differenza di quanto dichiarato giovedì scorso dal ministro della Semplificazione Roberto Calderoli il decreto con il percorso per l’approdo ai costi standard dovrebbe slittare a settembre quando si discuterà anche di autonomia finanziaria delle regioni (oltre che delle province). In modo da sedersi al tavolo con i governatori una volta sola.
I PARAMETRI
Gli elementi che fanno la differenza tra un comune “ricco” e uno “povero” dal punto di vista della fiscalità immobiliare1) Affitti-valori: una quota importante della fiscalità immobiliare è data dall’Irpef generata dagli affitti. Nelle grandi città (soprattutto a Roma e in quelle del Nord) un’unità immobiliare può produrre un’Irpef più che doppia rispetto a un piccolo centro, specie del Mezzogiorno. Queste differenze rimarrebbero anche con l’introduzione della cedolare secca
2) Affitti-volumi: importante è anche la percentuale di case affittate (con contratto regolare). Questo fattore, insieme alla presenza di evasione, determinerà anche gli effetti della cedolare secca. La condizione migliore si incontra nei comuni con minor tasso di evasione
3) Seconde case: le seconde abitazioni (che pagano l’Ici, oltre all’Irpef) sono un ottimo acceleratore per il fisco immobiliare, anche perché gli affitti brevi raggiungono in media valori più elevati (anche se discontinui). Favoriti in questo senso i comuni turistici
4) Mercato delle compravendite: la ricchezza fiscale cresce con il numero di compravendite effettuate nel territorio comunale. Meno rilevante, da questo punto di vista, sono i livelli di mercato, perché le imposte vengono pagate sui valori catastali. Anche questo fattore aiuta le grandi città
5) Rendite catastali: il loro livello determina il valore dell’Ici e quello dell’imposta di registro pagata sulle compravendite. Favorite le città dove i valori sono più aggiornati
6) Il patrimonio immobiliare: il rapporto fra popolazione e unità immobiliari è un elemento più costante, ma comunque fondamentale. Avvantaggia i comuni con un numero di unità immobiliari più alto in proporzione agli abitanti
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