Sintesi dell’intervento di chiusura di Marco Filippeschi, presidente di Legautonomie e sindaco di Pisa, al convegno «Costi standard e costi sociali – gli enti locali tra manovra economica e federalismo fiscale. Il futuro del welfare locale», organizzato da Legautonomie lo scorso 8 luglio a Roma. Noi abbiamo come paese un alto indice di disuguaglianze, siamo un paese che denuncia una spesa sociale, per i servizi di assistenza, di integrazione sociale e per la sanità, notevolmente più bassa di quella europea. Abbiamo insufficienti risorse a disposizione anche per le regioni più virtuose o per gli enti territoriali più virtuosi. Quindi, ragionando di federalismo fiscale, noi dobbiamo avere la piena consapevolezza del punto di partenza, delle difficoltà in cui ci troviamo oggi, e sentire la necessità e le opportunità di affrontare una grande riforma che abbia un segno sociale ben preciso. Questa non può essere una riforma di sola razionalizzazione dei costi, di razionalizzazione del sistema fiscale, ma deve essere una riforma che crei convergenze, avendo come obiettivo un riallineamento delle disparità sociali, deve essere una riforma che rappresenta una sfida per aree importanti del paese, nel mezzogiorno soprattutto, per le classi dirigenti locali. Se è così, se l’obiettivo della riforma è ricreare coesione laddove non c’è, e partecipare ad un sistema di riequilibrio delle risorse, risulta evidente come questo obiettivo sia stato ad oggi pienamente contraddetto dai fatti. Legautonomie con puntiglio e con grande chiarezza ha sostenuto negli anni questo percorso, dalle riforme di Bassanini fino alla legge n. 42 del 2009. Credo che il sistema delle autonomie non abbia avuto fino ad oggi forza sufficiente, capacità sufficiente, per rendere l’idea di quello che accade, una schizofrenia estrema che alla fine può portare a ingiustizie estreme; si subiscono ingiustizie in virtù di una fragilità politica, di un sistema via via reso fragile, che non regge la sfida in atto Sono preoccupato dall’approccio adottato dal governo nella recente relazione alle camere sul federalismo fiscale, dove questa tematica dei livelli essenziali delle prestazioni sociali e quindi della coesione e tenuta del tessuto sociale del Paese è completamente assente, perché, se quello è l’approccio, nell’attuale fase di crisi economica e con questa manovra finanziaria, sarà sui comuni che si scaricheranno le tensioni e il peso di scelte politiche sbagliate e contraddittorie. Oggi, noi stiamo discutendo evidentemente di una impostazione che sconta una subalternità, e già questo è un punto inaccettabile. Una subalternità che costringe ieri i comuni, e l’altro ieri le regioni, a porre anche un problema di costituzionalità sulla manovra. Da più parti viene evocata la riforma del parlamento, il senato delle regioni: è chiaro che mancano pilastri istituzionali che diano solidità alla riforma federalista, e che la completino, e manca anche il riconoscimento che è in atto un conflitto istituzionale che deve essere risolto per il bene del paese. Un trasferimento di competenze senza un sistema responsabile di reperimento delle risorse, non riesce ad avere l’impatto di una riforma federalista vera. È un’altra cosa. Su questo noi dobbiamo avere una posizione molto ferma. E anche il fatto che sia disgiunta la discussione sul federalismo fiscale da quella sulla riforma della Carta delle autonomie, il consolidamento delle competenze, la differenziazione, la razionalizzazione anche profonda delle competenze degli enti locali, è estremamente significativo. Credo che dovremmo avere noi la forza di dire tutto questo con maggiore chiarezza e compattezza, poi le forze politiche in parlamento dovranno avere la forza di fare politica su queste contraddizioni, più di quanto si sia riusciti a fare fino a oggi. Come amministratori, come sindaci, noi dobbiamo prenderci anche la responsabilità di individuare una strategia di contrapposizione alle ingiustizie del sistema che le autonomie locali sono costrette a subire, altrimenti saremo travolti, saremo messi in una condizione così difensiva da non poter più neanche prospettare ipotesi di riforme per il futuro. Sulle riforme noi abbiamo il dovere di fare la nostra parte e io penso che le necessità di rimodellare i sistemi di welfare locali siano evidenti, con le differenziazioni territoriali di cui si è detto nel convegno; c’è bisogno di una razionalizzazione della risposta degli enti locali, dei comuni: io per esempio credo che nel caso dei servizi sociali una riforma vada fatta con realismo, al di là della discussione sull’unione dei comuni che avviene per affrontare il tema dei piccoli comuni; penso che noi dobbiamo prenderci la responsabilità di indicare una dimensione di programmazione che sia congrua, perchè mettere insieme dieci comuni è una cosa_ ma fare la pianificazione degli interventi sociali in questa dimensione è qualcosa di completamente diverso. Sono d’accordo con chi propone chiaramente la possibilità di migliorare e alleggerire il sistema del welfare locale. Migliorare è doveroso, ma non dobbiamo cedere sui servizi essenziali. Legautonomie sostiene innanzitutto la tenuta sociale, la coesione tra cittadini e territorio, l’innovazione della risposta pubblica.
Un federalismo dal volto umano
Filippeschi: va bene razionalizzare i costi, ma non a discapito dei livelli essenziali delle prestazioni
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