ROMA – Dare una fisionomia quasi definitiva al pacchetto sulla crescita anche in vista del Consiglio europeo di Bruxelles. Con questo obiettivo a palazzo Chigi si è lavorato fino a tarda sera per mettere nero su bianco la sintesi tra le proposte del tavolo coordinato dal ministro Paolo Romani, a cominciare da quella di fare leva su un concordato fiscale, e l’esigenza del Tesoro di mantenere a costo zero il decreto-sviluppo. Che anche questa settimana non vedrà la luce. Il varo del provvedimento non arriverà prima di mercoledì prossimo. Un nuovo rinvio che ha messo in allarme la Ue. Non a caso in serata la Commissione europea ha «incitato le autorità italiane a definire con urgenza i programmi per la crescita», come ha indicato il portavoce del commissario per gli Affari economici Olli Rehn. Di qui l’accelerazione del lavoro di assemblamento delle misure impressa già nel pomeriggio da Silvio Berlusconi durante il vertice (in cui è stato affrontato anche il capitolo Banca d’Italia) al quale hanno partecipato, oltre a Romani, i ministri Giulio Tremonti, Altero Matteoli, Renato Brunetta, Roberto Calderoli, Umberto Bossi, lo staff di Maurizio Sacconi e il segretario del Pdl Angelino Alfano. Vertice proseguito in serata senza Tremonti. Anche perché a pressare il Governo non è solo la Ue ma anche lo stato maggiore del Pdl. Aderendo all’appello anti-declinisti lanciato sul Foglio da Giuliano Ferrara, 15 esponenti azzurri (Alemanno, Augello, Brunetta, Carfagna, Cicchitto, Crosetto, Frattini, Formigoni, Galan, Gasparri, Lupi, Mantovano, Meloni, Prestigiacomo e Quagliariello), affermano che il decreto sviluppo non è più rinviabile e che è opportuno trovare le coperture finanziarie per rilanciare l’economia. «In una fase così delicata per le sorti dell’economia nazionale – si legge nell’appello – è in ogni modo necessario impegnarsi, senza perdere altro tempo, in politiche di crescita e sviluppo». I 15 esponenti del Pdl aggiungono che non sono più rinviabili risposte alle sollecitazioni delle istituzioni europee e della Bce e che Governo e maggioranza hanno «il dovere di rischiare», perché l’alternativa è morire d’inedia. Il tutto in una giornata in cui anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, aveva attaccato il Governo affermando che sullo sviluppo «non ha fatto nulla» e che «c’è anche incertezza per il futuro». Sui contenuti avanza l’idea di un piano in due fasi: prima un decreto legge, con le misure più urgenti e meno onerose, poi un Ddl oppure emendamenti nel corso dell’iter parlamentare che potrebbero anche contenere misure da coprire con nuove entrate. Prende quota l’arrivo di un concordato fiscale cui affidare il recupero di risorse per non meno di 5 miliardi. Nulla a che fare con il condono tombale già bocciato nella versione del 2002 dalla Ue, ma più semplicemente una definizione agevolata su specifiche proposte di adesione inviate dal Fisco ai contribuenti per chiudere gli anni d’imposta pregressi. Una sanatoria in cui il fisco comunque non rinuncerebbe ai suoi poteri di accertamento precludendo l’accesso al concordato a chi ha già ricevuto un processo verbale di constatazione o ai contribuenti nei cui confronti è stata esercitata azione penale. Il lavoro di sintesi dei ministeri è vicino alla conclusione. Tra le proposte ancora in «pole» ci sono anche le pagelle on line, così come ha confermato ieri lo stesso ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, anche se non saranno necessariamente sostitutive di quelle tradizionali. Lo Sviluppo economico continua a puntare sulle tlc e la banda larga, nonostante la legge di stabilità abbia dirottato altrove 800 milioni inizialmente destinati alla società per la rete. Ieri Romani, nel corso di un convegno organizzato dalla fondazione Magna Carta, ha ribadito l’importanza di «un vettore pubblico, con soldi pubblici o della Cdp» per portare la banda larga su tutto il territorio. Ma nel frattempo è avanzato il progetto alternativo della società privata Metroweb, preferito da Telecom e Fastweb. Il progetto Metroweb, ha osservato ieri Franco Bassanini, presidente della società milanese e di Cdp, «non è contro il tavolo Romani» ma può esserne l’evoluzione.
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