Tassa sulle calamità bocciata dalla Consulta

La Corte costituzionale boccia il milleproroghe 2011: no alla stabilizzazione del prelievo e alla deminutio dei poteri dei Governatori. Stop anche agli emendamenti ai decreti estranei ai contenuti del provvedimento

17 Febbraio 2012
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La Corte Costituzionale boccia la tassa sulle calamità. Che stabilisce anche un principio il quale potrebbe avere un effetto dirompente: stop agli emendamenti ai decreti-legge non aventi attinenza con la natura del provvedimento stesso. Insomma, se il decreto-legge parla di pere e l’emendamento di mele, anche se il provvedimento viene convertito e passa il vaglio della presidenza della Repubblica approdando sulla Gazzetta Ufficiale, esso deve essere comunque ritenuto costituzionalmente legittimo. Ma andiamo con ordine. Con la sentenza n. 22 di ieri, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma, contenuta nel milleproroghe 2011, nota come tassa sulle calamità. A sollevare il caso davanti alla Corte Costituzionale erano state le regioni Liguria, Basilicata, Puglia, Marche, Abruzzo e Toscana. I giudici hanno ritenuto violati dalla norma impugnata diversi articoli della Costituzione. Le disposizioni in esame “regolano i rapporti finanziari tra Stato e regioni in materia di protezione civile – si legge nella sentenza – non con riferimento ad uno o più specifici eventi calamitosi, o in relazione a situazioni già esistenti e bisognose di urgente intervento normativo, ma in via generale e ordinamentale per tutti i casi futuri di possibili eventi calamitosi”. Secondo la Corte, tali norme, inserite con emendamento al decreto 225 del 2010, convertito in legge nel febbraio 2011, “sono del tutto estranee alla materia e alle finalità” del milleproroghe, per cui violano l’articolo 77, secondo comma, della Costituzione. Inoltre, si legge ancora nella sentenza, risulta violato anche l’articolo 119, quarto comma, della Carta Costituzionale “sotto il profilo del legame necessario tra le entrate delle regioni e le funzioni delle stesse, poiché lo Stato, pur trattenendo per sé le funzioni in materia di protezione civile, ne accolla i costi alle regioni stesse”. E ancora: “le norme censurate contraddicono la ratio del quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione”, aggiunge la Consulta, poiché “impongono alle stesse regioni di destinare risorse aggiuntive per il funzionamento di organi e attività statali”. Infine, il punto in cui la norma prevede che il presidente della regione interessato è autorizzato a deliberare gli aumenti fiscali ivi previsti è in contrasto sia con l’articolo 23 della Costituzione, “in quanto viola la riserva di legge in materia tributaria”, sia con l’articolo 123 della Costituzione “poiché lede l’autonomia statutaria regionale nell’individuare con norma statale l’organo della regione titolare di determinate funzioni”. Ma cose si è detto i termini della decisione di ieri vanno oltre la fattispecie analizzata. La Consulta infatti “concede” che le Camere possano, nell’esercizio della propria ordinaria potestà legislativa, apportare emendamenti al testo di un decreto-legge, che valgano a modificare la disciplina normativa in esso contenuta, a seguito di valutazioni parlamentari difformi nel merito della disciplina, rispetto agli stessi oggetti o in vista delle medesime finalità. Ciò che è ritenuto esorbitante invece è “l’alterazione dell’omogeneità di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario”. Dunque l’innesto di norme può avvenire “a patto di non spezzare il legame essenziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione”. Se tale legame viene interrotto,  scatta la violazione della Costituzione, che non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza per le norme eterogenee aggiunte, “ma per l’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge”. I giudici ricordano quindi che la Costituzione italiana disciplina, nelle loro grandi linee, i diversi procedimenti legislativi e pone limiti e regole, da specificarsi nei regolamenti parlamentari. Il rispetto delle norme costituzionali, che dettano tali limiti e regole, è condizione di legittimità costituzionale degli atti approvati, e la Corte ha “competenza di controllare se il processo formativo di una legge si è compiuto in conformità alle norme con le quali la Costituzione direttamente regola tale procedimento”. Nel caso di specie, considerato che le norme impugnate, inserite nel corso del procedimento di conversione del d.l. n. 225 del 2010, sono del tutto estranee alla materia e alle finalità del medesimo, “si deve concludere che le stesse sono costituzionalmente illegittime, per violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost.”.

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