Per i giudici capitolini, il regolamento comunale ha travalicato i limiti fissati nella disciplina Tarsu (decreto legislativo 507/1993), poiché ha collegato «la riduzione per unico occupante a un limite di reddito».
Peraltro, secondo la Commissione, anche la misura dell’agevolazione è illegittima, in quanto l’amministrazione ha previsto «una riduzione del 35% invece del limite massimo di un terzo».
L’articolo 68 del decreto legislativo 507/1993 detta i criteri ai quali i comuni si devono attenere per l’applicazione della tassa e la determinazione delle tariffe e indica le categorie di locali e aree con omogenea potenzialità di rifiuti. I comuni per poter applicare la tassa sono tenuti, infatti, ad adottare un regolamento che deve contenere non solo la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie, ma anche la graduazione delle tariffe ridotte per particolari condizioni d’uso. Nell’ambito del potere regolamentare possono essere individuate anche le fattispecie agevolative, con relative condizioni, modalità di richiesta e eventuali cause di decadenza.
L’articolo 66 dello stesso decreto, inoltre, attribuisce al comune la facoltà di disporre la riduzione, di un importo non superiore a un terzo, della tariffa unitaria nel caso di abitazioni con unico occupante o a uso stagionale. Il beneficio può essere concesso anche per i locali, diversi dalle abitazioni, adibiti a uso stagionale o non continuativo, ma ricorrente, purché risultante da licenza o autorizzazione rilasciata dagli organi competenti. Sono misure di temperamento dell’imposizione per situazioni che possono comportare una minore utilizzazione del servizio e produzione di rifiuti. Le riduzioni sono applicate solo quando risultano da dati ed elementi contenuti nella denuncia, originaria, integrativa o di variazione, con effetto dall’anno successivo.
Dunque, è riconosciuta al comune la facoltà di prevedere, con apposita disposizione del regolamento, speciali agevolazioni, sotto forma di riduzioni e, in via eccezionale, di esenzioni dal tributo. In caso di contestazioni da parte del contribuente, il giudice tributario può disapplicare le delibere comunali solo per vizi di legittimità, vale a dire per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge.
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