Il maxiemendamento alle legge di stabilità 2014 approvato dal senato il 26 novembre scorso ha introdotto rilevanti novità per gli organismi partecipati dagli enti locali; se l’iter parlamentare si concluderà senza ulteriori stravolgimenti, come è lecito aspettarsi, si potrà finalmente affermare che le nuove disposizioni segnano un deciso cambiamento di approccio delle modalità con cui il legislatore italiano intende affrontare le problematiche legate alle società partecipate dagli enti locali, in forte controtendenza rispetto ai tanti e mal coordinati provvedimenti approvati nel corso degli ultimi anni. Finalmente la logica dei tagli lineari sembra lasciare il posto a una maggiore attenzione verso le tante realtà locali che hanno sempre informato la loro attività ai princìpi di efficienza, efficacia ed economicità.
In tale direzione si muovono i commi 371 e 372 che stabiliscono che qualora le aziende speciali, le istituzioni o le società presentino un risultato di esercizio o un saldo finanziario negativo, gli enti locali soci sono obbligati ad accantonare nell’anno successivo in apposito fondo vincolato un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla loro quota di partecipazione.
Grazie al comma 381 tante amministrazioni locali possono poi tirare un sospiro di sollievo per l’abrogazione dei commi 1, 2, 3, 3-sexies, 9, 10 e 11 dell’art. 4 del dl 95/2012 (la c.d. «spending review») che prevedevano lo scioglimento o la privatizzazione entro il 31/12/2013 delle c.d. «società strumentali», cioè di quelle realtà che nel 2011 avevano conseguito un fatturato da prestazioni di servizi nei confronti di pubbliche amministrazioni superiore al 90% del volume complessivo dei ricavi.
Sopravvivono invece, fra gli altri, i commi 7 e 8 dello stesso articolo, che sanciscono rispettivamente:
- la regola secondo la quale le pubbliche amministrazioni dall’1/1/2014 acquisiscono sul mercato tramite gara i beni e servizi strumentali alla propria attività;
- l’eccezione alla suddetta regola, secondo la quale a decorrere dalla stessa data l’affidamento diretto può avvenire solo a favore di società «in house», conformi a quanto stabilito dalla giurisprudenza comunitaria.
Il legislatore pone così termine a un dibattito durato almeno sei mesi e che aveva portato alcune sezioni regionali di controllo della Corte dei conti (Campania, Liguria e Abruzzo) a considerare il comma 8 una norma speciale per le società «in house», mentre altre a ritenere (Lombardia e Puglia), anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 229 del 16/07/2013, che il principio sancito dal comma 8 poteva essere invocato solo nel caso di sussistenza di peculiari caratteristiche che non rendessero possibile all’amministrazione pubblica controllante un efficace e utile ricorso al mercato. Dunque, con l’abrogazione di buona parte dell’art. 4 della spending review le società strumentali «in house» degli enti locali sembrano riacquistare piena legittimità e il nostro ordinamento interno torna ad essere allineato, almeno in questo caso, con i princìpi affermati dalla giurisprudenza comunitaria, secondo la quale l’in house providing è un modello organizzativo a cui le amministrazioni pubbliche possono legittimamente ricorrere.
Il comma 381 ha previsto anche l’abrogazione dell’art. 9 della «spending review», cioè di quella norma, già dichiarata parzialmente incostituzionale dalla sentenza n. 236 del 17/7/2013, che aveva fortemente compresso la capacità organizzativa delle regioni, delle province e dei comuni imponendo la soppressione o l’accorpamento, ovvero, in ogni caso la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20%, degli enti, delle agenzie e degli organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che alla data del 15/8/2012 esercitavano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all’art. 117, comma 2, lett. p) della Costituzione o funzioni amministrative spettanti a comuni, province e città metropolitane.
Altra rilevante novità è rappresentata dall’abrogazione a opera del comma 380 dell’art. 14, comma 32 del dl 78/2010, cioè di quella norma che imponeva ai comuni con meno di 30 mila abitanti di mettere in liquidazione le proprie società partecipate o di cederne le quote entro il 30/9/2013, termine di fatto ignorato dalla maggioranza dei comuni interessati, ed a quelli con popolazione compresa fra 30 mila e 50 mila abitanti di mantenere la partecipazione al massimo in una sola società. Infine, si segnala un deciso dietrofront anche sul tema della partecipazione delle società degli enti locali al conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità.
Rispetto al testo dell’originario disegno di legge che prevedeva un contributo da parte delle società soprattutto in termini di riduzione del loro livello di indebitamento, oggi il comma 373 prevede più semplicemente che dall’esercizio 2014 le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche amministrazioni locali concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità e di efficienza, criteri ai quali, a dire il vero, dovrebbe essere stata sempre informata l’azione amministrativa di tutti gli organismi pubblici.
Per i Spl saranno individuati appositi parametri standard dei costi e dei rendimenti, mentre per i servizi strumentali occorrerà confrontarsi con i prezzi di mercato. Per tale ultima ragione, in futuro, le società strumentali non potranno più esimersi dal verificare preventivamente se i prezzi praticati agli enti soci sono competitivi rispetto a quelli di mercato; tale circostanza, nella maggior parte dei casi, dovrebbe essere verificata positivamente poiché queste società, in genere, non hanno come finalità principale quella del lucro, ma perseguono finalità pubbliche attraverso l’erogazione di prestazioni agli enti soci e l’ottenimento di corrispettivi sufficienti a coprire i soli costi di gestione.
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