Gara o no? Il dilemma sulle modalità di affidamento dei servizi pubblici da parte di comuni e province rimane in piedi anche dopo il varo definitivo del regolamento attuativo sulla «liberalizzazione», pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» di martedì (è il Dpr 168/2010; si veda Il Sole 24 Ore di ieri e dell’altro ieri). La riforma stabilisce il principio della procedura selettiva, e relega alle «situazioni eccezionali» le possibilità di derogare e di proseguire sulla strada dell’affidamento diretto. La traduzione pratica di questo sistema nel regolamento attuativo, però, modifica i pesi e lascia alle amministrazioni locali la prima parola sul tema. La procedura inizia infatti dalle verifiche affidate a sindaci e presidenti di provincia. A loro tocca il compito di valutare «la realizzabilità di una gestione concorrenziale», attraverso una «analisi di mercato». Se l’esame della situazione porta a concludere che «la libera iniziativa economica non risulta idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità», si può tornare alla vecchia esclusiva. Per farlo, l’ente locale deve inviare i risultati all’Antitrust, ma solo per consentirle di costruire la relazione annuale al parlamento. L’intervento dell’Authority che vigila sulla concorrenza diventa determinante nel secondo passaggio, quando l’ente locale procede con un nuovo affidamento in house e deve inviare all’Autorità la relazione con cui motiva la propria scelta. Anche questo passaggio è previsto dalla legge, e trova nel regolamento attuativo una modalità di applicazione più “distesa”. Il passaggio, prima di tutto, è richiesto solo quando il servizio oggetto dell’affidamento diretto vale più di 200mila euro all’anno: nelle prime versioni il tetto dei 200mila euro era privo di vincoli temporali, ed escludeva di conseguenza solo i micro-affidamenti. La trasformazione in «annuo» del parametro amplia drasticamente lo spazio delle deroghe, anche perché gli affidamenti possono avere una durata significativa, e anche il correttivo che imponeva comunque il parere in tutti i casi in cui la popolazione interessata dal servizio superasse le 50mila persone non ha resistito fino al testo definitivo. Il concreto effetto di liberalizzazione della riforma dipende dunque molto dalle modalità con cui le amministrazioni locali si appresteranno ad attuarla. Non solo: dove la legge di riferimento «fa salve» le discipline di settore, il regolamento arriva ad escludere completamente dall’applicazione gas, energia elettrica, trasporto ferroviario regionale e farmacie comunali, estendendo quindi la deroga anche alla disciplina sulle incompatibilità fra politica e posti in consiglio di amministrazione. L’elenco dei settori esterni alla nuova prova di liberalizzazione non finisce qui: «Ora – sottolinea per esempio Ennio Lucarelli, vicepresidente di Confindustria servizi innovativi – è il momento di un’azione efficace per le attività di Ict, ingegneria, facility mana-gement», spesso affidate alle società strumentali che spesso «effettuano assunzioni di personale senza concorso, e omettono il confronto con la concorrenza dell’offerta di mercato».
Sulle liberalizzazioni la parola agli enti locali
Servizi pubblici – Concorrenza “verificata” dai sindaci
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