Altro che battaglia di principio, altro che referendum contro la privatizzazione-scandalo. Con buona pace del milione e 400mila italiani che hanno chiesto il referendum contro la privatizzazione dell’acqua, la verità è che molto presto le nostre bollette idriche rincareranno in media dell’8 per cento e per non andare incontro a guai peggiori ci converrà pure considerarci soddisfatti. Già, dovremo fare buon viso a cattivo gioco per almeno due ragioni: innanzitutto perché la privatizzazione in arrivo, grazie al cosiddetto decreto Ronchi, riguarda le società di gestione degli acquedotti e non la proprietà della rete né tanto meno quella delle acque e delle sorgenti, che sono ovviamente beni indisponibili: e quindi il referendum, in un modo o nell’altro, si risolverà in un flop, perché si oppone a una scelta che non c’è. Ma soprattutto perché a volere la privatizzazione è una direttiva europea ed a imporne l’applicazione non è solo il trattato di Maastricht – che di per sé basterebbe – ma un dato di fatto inquietante: l’attuale sistema di gestione dell’acqua potabile in Italia, peraltro già abbondantemente privato (solo il 7% degli acquedotti è a controllo totalmente pubblico, gli altri hanno già una proprietà mista pubblico-privati) fa acqua da tutte le parti. Per ogni 100 litri che vengono erogati nelle case dei cittadini se ne sprecano 37: nel senso che o gli acquedotti vengono saccheggiati dai cittadini-pirati o semplicemente perdono acqua. A livelli, a volte, impensabili: oltre il 50% nel caso dell’Acquedotto Pugliese, il più lungo e perforato d’Europa. Eppure proprio Nichi Vendola, governatore della Puglia e autocandidatosi nuovo leader del Pd, ha attaccato recentemente Bersani – da questo suo pulpito inappropriato – perché non avrebbe cavalcato con sufficiente decisione il movimento referendario. La buona, e cattiva, notizia è emersa l’altro ieri dalla viva voce del responsabile politico di questa rivoluzione, cioè Andrea Ronchi, ministro delle politiche comunitarie, protagonista di un dibattito a Cortina, nel quadro del cartellone estivo «Cortina Incontra», con il presidente dell’Acea, Giancarlo Cremonesi, della Federutility Roberto Bazzano e con l’economista Franco Debenedetti. «Realizzare la nuova rete di infrastrutture costerà circa 60 miliardi, ma sarà un’opera lunga, che richiederà vent’anni», ha spiegato Ronchi. «Pochi giorni fa Le Monde ha riconosciuto che in Francia, dopo la privatizzazione, le tariffe sono scese. Ma oggi le nostre tariffe sono circa un terzo di quelle francesi, un quinto di quelle tedesche, un quarto di quelle americane». Come dire che le nostre tariffe, per effetto della riforma, sulle prime saliranno avvicinandosi a quelle straniere e poi si assesteranno, mentre senza la riforma il sistema rischierebbe un tracollo e un futuro più gravoso onere di ristrutturazione. Come si arriva alla stima dell’aumento tariffario dell’8%? La avanza uno studio di Federutility, l’associazione che raggruppa le aziende che attualmente gestiscono gli acquedotti, cioè quasi sempre ex aziende municipalizzate. Non sarà necessario un aumento immediato, potrà essere spalmato nel tempo, ma si attesterà su quel livello. Le tariffe, ha ricordato Bazzano, incidono per lo 0,7% sul paniere della spesa, quindi praticamente il loro aumento non sposterà l’inflazione. Anzi, secondo Cremonesi la ristrutturazione della rete «avrà un effetto economico anticiclico, per l’imponente insieme di opere civili che comporterà, e poi perché a regime ci farà risparmiare una risorsa preziosa e scarsa com’è l’acqua, che è oltretutto anche un dovere etico preservare». E i referendari? Ronchi è stato tranchant: il quesito referendario utilizzato per raccogliere le firme nasce da una bugia, cioè dal presupposto sbagliato che il governo voglia privatizzare l’acqua. Quindi, la consultazione, ammesso che venga ammessa, si risolverà in un nulla di fatto. «Io comunque», ha sottolineato il ministro, «non ho paura della campagna referendaria: anzi, più si parla di questo processo meglio è, perché ci permettere di ristabilire la verità dei fatti». Una verità che anche Franco Debenedetti, economista riformista, ma di impostazione liberista, ha riconosciuto. Per il fratello dell’Ingegnere, il referendum ha uno spirito «comunista»: ha usato proprio la parola-tabù, per enfatizzare la sua presa di distanze». L’importante è che il futuro quadro liberalizzato e privatizzato della gestione idrica sia controllato e regolamentato da un’Autorità indipendente: «E questo è un impegno preciso del governo», ha assicurato Ronchi, «costituiremo la nuova Autorithy entro i termini previsti dai decreti attuativi della riforma». E quando qualcuno, dalla platea cortinese, ha chiesto ironicamente: «Non è che il governo riuscirà prima a creare la nuova Autorità che a sostituire Lamberto Cardia al vertice della Consob?», Ronchi ha risposto con fair-play: «Questa nomina è un problema di Gianni Letta».
Sull’acqua, il referendum fa acqua
Perché la privatizzazione dell’acqua e delle fonti non è certo prevista dalla legge
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