Firenze, Reggio Calabria e oggi Vicenza (si veda Il Sole 24 Ore del 20 gennaio 2014) sono solo i casi più eclatanti di enti che subiscono gravi contestazioni sul rispetto delle norme relative al fondo di comparto di enti pubblici, con altrettanto enormi richieste di risarcimento di somme illegittimamente corrisposte ai dipendenti.
In occasione di quasi tutte le ispezioni attivate dal ministero dell’Economia, il problema dei fondi al personale diventa l’oggetto centrale della relazione ispettiva e, ogni volta, le contestazioni sono pesantissime e destinate a suscitare lo sconcerto nei dipendenti e negli amministratori dell’ente, oltre che il quasi certo attivarsi della competente Procura della Corte dei Conti.
Tutto ciò dimostra l’utilità dell’attività ispettiva del ministero, che costituisce sempre più un serio deterrente all’operare in modo illegittimo delle Pa locali e che è andata affinandosi nel corso degli anni, fino a diventare uno strumento non solo di repressione ma anche di segnalazione dei fenomeni da correggere.
In tema di controlli della regolarità della parte economica della contrattazione decentrata, ancora, si deve prendere atto che il controllo immaginato dalla riforma Brunetta, con cui si è affidato all’organo di revisione il compito di verificare il rispetto delle regole sulla costituzione e sull’impiego dei fondi per il personale, non regge alla prova dei fatti.
L’attribuzione di compensi aggiuntivi ai dipendenti del Comune è uno strumento di facile consenso, e spesso gli amministratori cedono a richieste sindacali anche molto impegnative per il bilancio degli enti (e non a caso le rappresentanze sindacali sono a volte chiamate in correo per danno erariale).
Ma al di là di tutto ciò, resta evidente che la diffusione e la frequenza delle irregolarità riscontrate, presunte o vere che siano, impone di rimettere mano a una normativa contrattuale del pubblico impiego locale lacunosa e confusa.
È necessario e urgente trovare il modo di risolvere due questioni, una emergenziale e l’altra di carattere strutturale. La prima è come consentire a un ente “incappato” in una ispezione, o che si avveda di avere commesso errori e intenda rimediare, di rientrare nelle regole senza doversi sottoporre a un conflitto aziendale defatigante che non ne permette una normale operatività gestionale. Davvero risponde ad interesse pubblico il generarsi di uno scontro tra amministrazione e dipendenti, e la paralisi delle attività che ne consegue? In sostanza, occorre trovare un luogo di mediazione dove si possa concordare, di fronte ad un soggetto terzo (che dovrebbe essere l’Aran), una via di riappropriazione degli indebiti al bilancio dell’ente, senza che si spenda in avvocati e consulenti più di quanto non si recupererà dalle buste paga dei dipendenti, di regola del tutto incolpevoli.
La seconda, strutturale, consiste nel rivedere la normativa al fine renderla di semplice e inequivoca applicazione, introducendo delle regole chiare che possano essere facilmente verificate dall’organo di revisione. Si dovrebbe pensare, in buona sostanza, a un tetto massimo di quanto possa essere utilizzato, a qualsiasi titolo, per finanziare la parte economica del contratto collettivo decentrato: è impossibile pretendere una efficacia dei controlli interni, se le regole sono incomprensibili e si basano sulla stratificazione di fondi che sono andati costituendosi, in un mutare di norme, dal 1999.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento