Nella sua complicata evoluzione verso la stesura definitiva, il decreto legge sulla scuola ha imbarcato cattive notizie sul Fisco immobiliare, ma in compenso ha perso l’unica evoluzione positiva sul tema: dal testo è stato infatti stralciato l’articolo sulla scuola paritaria, che introduceva parametri più rigidi per il loro funzionamento (si veda anche Il Sole 24 Ore del 10 settembre) ma le esentava dall’Imu.
In questo modo, sulle paritarie resta la tegola dell’imposta sugli enti non commerciali, nella versione introdotta dal decreto «liberalizzazioni» del Governo Monti (Dl 1/2012) e regolata da un provvedimento attuativo (Dm 200/2012 del ministero dell’Economia) con parametri che colpiscono in particolare proprio il mondo della scuola.
La ragione è semplice. L’idea di fondo è quella di garantire l’esenzione dall’Imu solo agli enti che in effetti non producono profitto, e per questa ragione sono stati fissati dei requisiti che seguono la stessa falsariga in tutti i settori, ma che per le «attività didattiche» diventano ancora più severe.
In generale, per essere considerati «non commerciali» e quindi evitare il pagamento dell’Imu, secondo il decreto dell’Economia i servizi svolti dagli enti non profit devono essere accompagnati da tariffe non superiori al 50% dei «corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale». Se l’attività è didattica, però, il criterio si complica, perché il bollino di «non commerciale» arriva solo quando l’attività «è svolta a titolo gratuito, oppure dietro versamenti di corrispettivi simbolici e tali da coprire solo una frazione del costo del servizio». A parte il fatto che manca una definizione puntuale del tetto massimo a cui può arrivare questa «frazione», con un’incertezza che amplia le possibilità per i Comuni di chiedere l’imposta negando il carattere «non commerciale» della scuola, è chiaro che il suo carattere «simbolico» impone che la quota di copertura dei costi sia minoritaria. Non solo: il decreto attuativo aggiunge un tassello, e chiede che le tariffe chieste dalle scuole non abbiano «relazione» con il servizio erogato. Ora, a parte la difficoltà di concepire un «corrispettivo» che non abbia «relazione» con il servizio per il quale è richiesto, è chiaro che il decreto pare voler escludere dall’Imu solo gli istituti con bilanci caratterizzati da perdite strutturali e coperte da fondi diversi da quelli ottenuti con le tariffe: un identikit che, ovviamente, rischia di portare i bollettini dell’Imu nella stragrande maggioranza delle scuole paritarie. La didattica, in questo quadro, rischia di essere più penalizzata rispetto ad alberghi, circoli ricreativi o sportivi e agli altri settori interessati da queste regole.
Il punto è proprio quello economico, e rischia di oscurare gli altri parametri, legati all’obbligo di non discriminare gli alunni nell’accoglimento delle richieste di iscrizione, di applicare il contratto nazionale al personale docente e non docente, di avere strutture «adeguate» e di pubblicare il bilancio.
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