Stato di diritto e potere d’ordinanza

L’Intervento

Italia Oggi
14 Aprile 2011
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Una volta tanto, lo Stato di diritto ha vinto. Lo dobbiamo alla Corte costituzionale e a una sua sentenza (n.115/2011) che (variamente interpretata in commenti giornalistici a dir poco pittoreschi) ha cassato il potere di ordinanza libera, paradossalmente (e superficialmente) attribuito nel 2008 ai sindaci. La Corte ha così espunto dall’ordinamento una norma che, di fatto, poneva addirittura in discussione la libertà del singolo, costituzionalmente protetta. Tempo fa, proprio trattando di questo stesso argomento, avevamo dunque sottolineato che punto di partenza del tutto è l’art. 23 della Costituzione, che recita: «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». Una norma, sottolinea la Corte nella sua ultima sentenza, che è dalla stessa stata costantemente interpretata «in relazione col fine della protezione della libertà e della proprietà individuale, a cui si ispira tale fondamentale principio costituzionale». Principio, questo, che «implica che la legge che attribuisce a un ente il potere di imporre una prestazione non lasci all’arbitrio dell’ente impositore la determinazione della prestazione» (Corte cost., sent. n. 4/’57). Ora, la norma vigente prima dell’ultimo intervento della Corte (come esattamente ricostruita dalla stessa Corte perchè anche questo essa ha dovuto fare, in presenza di differenti testi) così recitava: «Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana» (art. 54, 4° comma, T.u. enti locali). In sostanza, i sindaci potevano adottare provvedimenti «anche contingibili e urgenti»: quindi, caratterizzati sia dalla ordinarietà che dalla contingibilità (e quindi dall’esigenza, per quest’ultima fattispecie, di sovvenire, in buona sostanza, a necessità improvvise). Ed è proprio su questo che si è appuntata l’attenzione della Corte, perchè la norma (è scritto testualmente nella sentenza) «attribuisce ai sindaci il potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione, le quali, pur non potendo derogare a norme legislative o regolamentari vigenti, si presentano come esercizio di una discrezionalità praticamente senza alcun limite, se non quello finalistico, genericamente identificato dal legislatore nell’esigenza di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana». Nel riaffermare l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi «venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto» (che non consente l’assoluta indeterminatezza del potere conferito dalla legge ad un’autorità amministrativa, con l’effetto di attribuire in pratica una totale libertà al soggetto od organo investito della funzione – sent. Corte n. 307/’03), la Corte ha conclusivamente ritenuto che la norma censurata «nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci, quali ufficiali del Governo, non limitato ai casi contingibili e urgenti (pur non attribuendo agli stessi il potere di derogare, in via ordinaria e temporalmente non definita, a norme primarie e secondarie vigenti) viola la riserva di legge relativa di cui all’art. 23 della Costituzione, in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati», tenuti (secondo un principio supremo dello Stato di diritto) «a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge». Così ragionando (e decidendo), la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima, nella norma sopra riportata, la locuzione «,anche», lasciando sostanzialmente intatto il potere dei sindaci di emanare, come da sempre, ordinanze contingibili e urgenti. Sul piano pratico, la decisione della Corte eserciterà i suoi effetti, com’è noto, solo a proposito dei rapporti, sorti sulla base di ordinanze ordinarie, non ancora definiti.

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