tratto da Comuni.it
È in vigore dal 1° gennaio 2015 e ne parliamo anche da prima, ma lo split payment in realtà deve ricevere ancora il via libera dalla Commissione europea. Nonostante il Governo, in pieno stile renziano, abbia rassicurato più volte sull’ok di Bruxelles, il meccanismo di inversione contabile introdotto dalla legge di stabilità 2015 non è stato ancora formalmente autorizzato, dicasi lo stesso per il reverse charge.
Lo split payment è a rischio incompatibilità con la normativa UE: perché?
Il timore che sia tutto da rifare cresce con il passare dei giorni, anche perché i detrattori non mancano. Proprio in queste ore ANCE, anche a nome di Cna Costruzioni, Anaepa Confartigianato e Aci-Produzione Lavoro, ha formalmente denunciato presso la Commissione europea l’incompatibilità dello split payment con la direttiva europea sui pagamenti e con le misure a favore delle pmi contenute nello “Small business act”, oltre al fatto che sia entrato in vigore senza la necessaria autorizzazione comunitaria.
Secondo la direttiva sui pagamenti, infatti, la PA deve liquidare i suoi fornitori i corrispettivi entro 60 giorni dallo stato di avanzamento lavoro, comprensivi di tutte le tasse. Inoltre, sostengono le associazioni, “lo spilt payment è in evidente contraddizione con il principio Think Small First, alla base dello Small Business Act, configurandosi, nei fatti, come una misura di controllo contro le PMI, poiché drena risorse a loro dovute introducendo, di fatto, una corsia preferenziale dei pagamenti a favore dello Stato”.
Lo split payment sottrae liquidità alle imprese: perché?
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Al di là della compatibilità o meno con la normativa europea, lo split payment è tanto demonizzato dalle imprese perché nei fatti sottrae loro liquidità, secondo la CNA oltre un miliardo e mezzo al mese. Infatti, poiché dal 1° gennaio in base al meccanismo della scissione dei pagamenti la PA liquida il fornitore ma si trattiene l’IVA per versarla direttamente all’Erario, l’impresa viene pagata ma senza IVA. Le imprese intermedie, in genere, compensano l’imposta che incassano sulle vendite con quella pagata ai fornitori, ma in questo caso dovrà attendere fino a 15 mesi, se potrà compensarla con l’IVA eventualmente ricevuta da altri soggetti privati, o ancora di più se non potrà compensarla e dovrà chiedere il rimborso. E se le imprese non avessero i soldi per riequilibrare il flusso finanziario di cassa e, quindi, dovessero andare in banca per finanziarsi, quanto spenderebbero? – si chiede retoricamente la CNA -. Non meno di 920 milioni di euro all’anno, a patto che trovino una banca disponibile a sborsare i soldi. E ad applicare sempre e a tutte un interesse che per le piccole imprese sicuramente non è inferiore al 6%. |
Split payment, cosa succede se Bruxelles dice no?
E se Bruxelles alla fine dovesse dire no allo split payment, cosa succede? Scattano le clausole di salvaguardia e allora sono soldi… da pagare naturalmente. Per essere precisi 1,7 miliardi: infatti secondo il Sole 24 Ore “il Governo rischia di dover individuare a stretto giro misure alternative alla dote da 1,7 miliardi attesa dalla stretta sull’evasione fiscale con il reverse charge per la grande distribuzione (oltre 728 milioni) e lo split payment (998 milioni)”.
Quindi, con le opportune correzioni, meglio sperare scatti il semaforo verde allo split payment che la clausola di salvaguardia.
La clausola di salvaguardia scatta per consentire l’attivazione di ulteriori forme di copertura finanziaria nel caso in cui la copertura originaria non risulti sufficiente. Nel caso dell’Italia, ahinoi, ne scattano più di una: quella introdotta dalla legge di stabilità 2014 e le due introdotte dalla legge di stabilità 2015, collegate al mancato avvio dello split payment e dell’estensione del reverse charge Iva alla grande distribuzione.
728+998 milioni.. Se la matematica non è un’opinione fa 1,726 miliardi di euro che, a fronte di un no da Bruxelles, si tradurrebbero in un aumento della benzina dal 30 giugno…
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