Il decreto «del fare» ha rinviato i termini per dismettere le società strumentali come imposto dalla spending review dello scorso anno, ma lo slittamento opera in pieno solo nei Comuni con più di 30mila abitanti. Per la stragrande maggioranza dei Comuni (7.787 su 8.092) che non raggiungono questa cifra, il rinvio opera solo a metà, perché entro il 30 settembre scatta l’obbligo di liquidazione delle società o di dismissione delle partecipazioni previsto dall’articolo 14, comma 32 del Dl 78/2010.
L’ennesimo intreccio normativo sul travagliato mondo delle partecipate, insomma, fa inciampare ancora una volta i piani del legislatore, alle prese ormai con un affastellarsi di regole praticamente ingestibile. Proviamo a fare ordine.
Il Dl 95/2012 ha imposto la privatizzazione entro il 30 giugno scorso o lo scioglimento entro il 31 dicembre prossimo delle società controllate che nel 2011 hanno raccolto almeno il 90% del fatturato dalla Pa. Il Dl 69/2013 (articolo 49, comma 1), constatata l’ovvia difficoltà applicativa (denunciata su questo giornale fin dall’anno scorso) ha introdotto la consueta soluzione del rinvio, allineando al 31 dicembre i termini per la privatizzazione e lo scioglimento, e facendo decorrere dal 1° luglio 2014 l’assegnazione del servizio alla società privatizzata per 5 anni.
Il solito escamotage non ha però fatto i conti con l’articolo 14, comma 32 del Dl 78/2010, cioè la norma che vieta ai Comuni fino a 30mila abitanti di avere società e ne consente solo una agli enti che contano fra 30.001 e 50mila abitanti. Nemmeno questa norma ha evitato il consueto tran tran di rinvii, con il solito corredo di inciampi e interventi scoordinati. Nella sua formulazione attuale, la stop alle partecipazioni nei Comuni fino a 30mila abitanti scatta al 30 settembre prossimo (articolo 29, comma 11-bis della legge 14/2012), e dal momento che non effettua distinzioni di sorta riguarda sia le società di servizi pubblici locali sia le aziende strumentali. Nei Comuni fino a 30mila abitanti, dunque, queste ultime si vedono di fatto prolungare il calendario di soli tre mesi, dal 30 giugno al 30 settembre.
In questa chiave, allora, torna utile ricordare le due deroghe agli obblighi di dismissione previsti dalla stessa manovra del 2010: la chiusura in utile dei bilanci degli ultimi tre anni, il superamento del limite dimensionale grazie a più Comuni soci.
Diverso, e ancor più intricato, il caso dei Comuni che contano fra 30.001 e 50mila abitanti. L’articolo 29, comma 11-bis della legge 14/2012, ha spostato di nove mesi solo il termine riferito alle società dei comuni con meno di 30mila abitanti, in quanto fa riferimento alla precedente disposizione di modifica del comma 32 (articolo 16, comma 27 della legge 148/2011), che riguarda appunto solo la prima parte della disposizione, e non i Comuni fra 30mila e 50mila abitanti. Per loro, quindi, sarebbe rimasta inalterata la scadenza del 31 dicembre 2012 introdotta dall’articolo 2, comma 43 della legge 10/2011.
Tuttavia su questo punto alcune sezioni regionali della Corte dei Conti hanno individuato la scadenza sulla base di un’interpretazione sistemica, che spostando tutti i termini originari di 9 mesi porta la loro scadenza al 30 settembre 2014 (sezione regionale Lombardia, delibera 66/2013/PAR).
Le date
30/9
La scadenza generale
Entro questa data i Comuni fino a 30mila abitanti devono dismettere le loro partecipazioni, sia quelle in società di servizi pubblici locali sia quelle in aziende strumentali. Possibile derogare solo nel caso in cui gli ultimi tre bilanci della società siano stati chiusi in utile
31/12
I termini per le strumentali
A questa data è stato rinviato dal Dl del «Fare» (articolo 49, comma 1 del Dl 69/2013) il termine per l’alienazione delle società strumentali, che era stato fissato al 30 giugno dal Dl 95/2012. Il rinvio a fine dicembre, però, nei fatti opera solo per i Comuni sopra i 30mila abitanti
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