La 231 entra a pieno titolo nelle società a partecipazione pubblica che svolgono attività economica. Infatti, d’ora in avanti saranno soggette alla responsabilità amministrativa al pari delle aziende private. È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza 28699 del 21 luglio 2010, ha inoltre precisato che la responsabilità amministrativa colpisce pure le società che esercitano funzioni costituzionalmente rilevanti, come quelle sanitarie o di informazione. Le motivazioni A questo punto, la prima conseguenza del nuovo principio è che quasi nessuna azienda a partecipazione pubblica sfugge alle sanzioni della legge 231. La notizia è arrivata a pochi giorni dalla pronuncia depositata sempre alla Suprema corte (sentenza n. 27735) e con la quale è stato affermato che quella degli enti non è affatto una responsabilità oggettiva, né d’altronde potrebbe mai esserlo muovendosi nel campo del diritto penale, ma è piuttosto una responsabilità legata alla cattiva organizzazione dell’azienda che risponde dell’aver lasciato spazio al manager per l’attività illecita. Le precisazioni contenute nella sentenza del 21 luglio non sono di poco conto per un terreno ancora così magmatico come quello in cui si muovono le norme della 231. In particolare la seconda sezione penale ha motivato che, «sono esonerati dall’applicazione del dlgs n. 231/01 ? avente ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica ? soltanto lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale e gli altri enti pubblici non economici». Dunque, il tenore testuale della norma è inequivocabile nel senso che la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria, ma non sufficiente, all’esonero dalla disciplina, «dovendo altresì concorrere la condizione che l’ente medesimo non svolga attività economica». Questa interpretazione, ricorda il Collegio, è rafforzata da una sentenza delle Sezioni unite (n. 4989 del ’95) sull’effettiva natura delle società miste vista come «natura privatistica nelle società costituite ex art. 22 legge n. 142/90 per la gestione di servizi pubblici attraverso società partecipate da capitale pubblico». La decisione ha destato subito la preoccupazione di varie associazioni e dell’Assonime che ha pianificato la risoluzione del caso. Scatta il sequestro dei beni aziendali se l’amministratore è indagato per truffa Una delle conseguenze più dirompenti della legge «231» sulle aziende è il sequestro dei beni. In particolare la Cassazione ha recentemente affermato (con la sentenza n. 34505 del 23 settembre) che questi possono essere confiscati qualora l’amministratore sia indagato per affari illeciti connessi con l’attività societaria. Ma non solo. Sia ai manager che all’impresa può essere sequestrata la somma pari ai proventi del reato, sulla base del cosiddetto principio dell’«equi-valenza economica». In quell’occasione gli Ermellini hanno confermato il sequestro di oltre 6 milioni di euro e di alcuni immobili di proprietà di un’azienda il cui amministratore era stato indagato per truffa. Anche il vertice aziendale aveva subito un sequestro di pari importo che la seconda sezione penale della Suprema corte ha ritenuto legittimo. Insomma è stata integralmente confermata l’ordinanza del Tribunale delle libertà di Crotone che aveva respinto l’istanza di dissequestro avanzata da due srl il cui amministratore era indagato per truffa. In particolare l’uomo era stato accusato di essersi intascato parte del denaro ottenuto da un finanziamento statale. Fra le altre cose, aveva comprato dei macchinari di valore nettamente inferiore rispetto a quanto fatturato. Contro la decisione dei giudici di merito le società hanno presentato ricorso in Cassazione ma senza successo. I Supremi giudici hanno confermato la misura cautelare motivando sulla base di un orientamento inaugurato dalle Sezioni unite due anni fa (sentenza n. 26654) e secondo cui «in caso di illecito plurisoggettivo, si applica il principio solidaristico che implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente, con la conseguenza che, una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo a essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, ma l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l’ammontare complessivo dello stesso».
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