Si rafforzano alcuni curiosi effetti della campagna elettorale europea. Di Europa si parla poco: così è sempre stato, ma stavolta se ne è parlato un po’ più, solo però per dir male dell’Europa, e anzi da alcune liste per attaccare pure l’euro. Prevale la considerazione che i risultati serviranno da barometro: per il governo, la maggioranza, le opposizioni, le singole liste, qualche personaggio di primo piano, segnatamente Matteo Renzi. Viceversa, le conseguenze politiche rimangono sfumate. Si capisce, quindi, che le riforme appaiano, guardate a cinque giorni del voto, infattibili, ma in concreto restano sospese. Solo il recepimento del voto da parte delle varie formazioni, soprattutto da Fi, indicherà la direzione che potranno avere l’Italicum, la riscrittura del titolo V, la trasformazione del Senato. Se si dovesse giudicare dall’oggi, non è chiaro con quali voti potrebbero passare tali leggi in Parlamento. Poco comprensibile, poi, risulta l’ostentato disinteresse, soprattutto mediatico, per le regionali e le amministrative. Eppure sono in ballo due regioni (entrambe in mano al centrodestra ma a giudizio comune pronte alla vittoria del fronte avverso), fra le quali il Piemonte. E negli oltre 4 mila comuni (più di uno su due: la più ampia fra le chiamate al voto amministrativo) si contano ben 27 capoluoghi. Dopo le vittorie regionali e amministrative del 2010, il centrodestra ha subìto pesanti e diffuse batoste. Probabilmente sarà così pure stavolta, ma colpisce il vasto silenzio su un così esteso campo di enti locali. Sembra che la faccenda sia confi nata nei mezzi d’informazione locali, fra l’altro anch’essi più interessati alle bastonate romane che non alle disfi de per sindaci e consigli comunali.
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