Le società miste in cui il socio privato sia stato selezionato con gara «a doppio oggetto» possono ampliare il proprio giro d’affari, acquisendo la gestione di ulteriori servizi pubblici locali anche in ambiti territoriali diversi. Il divieto previsto dall’art. 23-bis, comma 9 del dl 112/2008 così come modificato dalla riforma Fitto (dl 135/2009 convertito nella legge 166/2009) non può essere esteso a questa particolare tipologia di società miste. E se lo fosse sarebbe «irragionevole e immotivato anche alla luce dei principi dettati dall’Unione europea in materia di partenariato pubblico-privato». Ad affermarlo è il Tar Calabria che con la sentenza n. 561 del 16 giugno 2010 ha fornito la prima interpretazione chiarificatrice di una delle più controverse disposizioni del dl 135. Confermando sul punto tutti i dubbi sollevati dall’Anci all’indomani dell’approvazione della legge. La riforma messa a punto dal ministro per gli affari regionali allo scopo di aprire alla concorrenza e al mercato il settore delle utility ha affermato il principio generale dell’obbligatorietà delle gare per gli affidamenti. Un principio il cui necessario corollario porta a vietare alle società che gestiscono servizi locali in virtù di affidamenti diretti o procedure non ad evidenza pubblica la possibilità di acquisire ulteriori concessioni o ampliare il proprio giro d’affari in ambiti territoriali diversi (per esempio al di fuori del comune di appartenenza). Secondo una prima interpretazione del decreto, tale divieto dovrebbe essere esteso anche alle società miste (a partecipazione pubblica e privata) in cui la scelta del socio privato sia avvenuta attraverso una particolare tipologia di gara, anch’essa introdotta dal dl, definita «a doppio oggetto» perché oltre alla qualità di socio al privato vengono attribuiti specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio. Oltre a una partecipazione al capitale sociale che non può essere inferiore al 40%. Il Tar Calabria ammette che tale interpretazione è consentita dalla lettera del dl 135, ma non la condivide. «L’affidamento a società mista costituita con le modalità indicate dal comma 2, lettera b) dell’art. 23-bis (gara a doppio oggetto ndr)», scrivono i giudici amministrativi calabresi, «si appalesa, ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, del tutto equivalente a quello mediante pubblica gara, sicché risulterebbe irragionevole e immotivata, anche alla luce dei principi dettati dall’Unione europea in materia di partenariato pubblico-privato, l’applicazione del divieto di partecipazione alle gare bandite per l’affidamento di servizi diversi da quelli in esecuzione». Il Tar propende invece per un’interpretazione più morbida «pure consentita dalla lettera» della legge, che porta ad applicare il divieto di partecipazione alle gare solo alle società che già gestiscono servizi pubblici locali sulla base di un affidamento diretto o, comunque, a seguito di procedura non a evidenza pubblica. Via libera dunque alle società miste costituite con gara a doppio oggetto perché questa rientra a pieno titolo tra le procedure a evidenza pubblica. Tali società potranno quindi partecipare alle gare perché non ledono i principi di libera concorrenza. Il Tar Calabria ha dunque sposato in toto le tesi dell’Anci che più volte si è espressa a favore dell’esclusione delle società miste dal divieto. Ora non resta che attendere che l’interpretazione del Tar si consolidi nella giurisprudenza.
Servizi locali, società miste in gara
Il Tar Calabria interpreta a maglie larghe una delle norme più controverse della riforma delle utility
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