Non sono bastati sette anni di mandato per vedere realizzati alcuni grandi obiettivi – su tutti la riforma Rai e la rete tlc di nuova generazione – e per spegnere definitivamente le polemiche sulla competition tra Telecom Italia e i concorrenti.
Corrado Calabrò, presidente dell’Authority per le comunicazioni, nella relazione di fine mandato mette in evidenza i risultati raggiunti ma a fare più notizia, inevitabilmente, sono tutte le grandi partite aperte che finiranno per scottare terribilmente tra le mani del prossimo consiglio. Il mandato di Calabrò e degli otto commissari scade il 15 maggio, poche settimane dopo il governo dovrebbe licenziare il decreto “DigItalia” per rimettere il Paese in linea con gli obiettivi dell’Agenda Digitale dell’Unione europea.
La rete che non decolla
«Il ritardo nello sviluppo della banda larga costa all’Italia tra l’1 e l’1,5% del Pil» stima l’Authority che rinnova la preoccupazione per la difficoltà di tenuta delle reti, sia quella fissa sia quella mobile, di fronte alla crescita esponenziale del traffico. Calabrò parla di «incalzante spinta della necessità di realizzare finalmente le reti di cui la comunicazione ha bisogno» e chiama in causa la Cassa depositi e prestiti, impegnata al momento nel supporto al piano di Metroweb che prevede interventi sulla fibra ottica in 30 città per 4,5 miliardi di euro.
In realtà, negli ultimi anni, il mercato sembra aver privilegiato la rete mobile con investimenti mirati alla dotazione «di un maggior numero di frequenze» e al potenziamento dei network mediante la tecnologia Lte. Ma il problema “rete fissa”, per il presidente uscente, «non è più rinviabile», tenendo conto che «per le infrastrutture è l’offerta a generare la domanda». Le cifre del ritardo sono inclementi: l’Italia conta 21 linee ad alta velocità ogni 100 abitanti, rispetto a una media Ue di 27; sono connesse alla rete il 62% delle famiglie contro una media europea del 73% e il 41% degli italiani adulti non ha mai usato internet, due o tre volte il livello registrato in Francia, Germania e Regno Unito. Il risultato? «L’economia internet in Italia vale solo il 2% del Pil, contro il 7,2% del Regno Unito».
Le regole
Il mandato di Calabrò si chiude tra le polemiche. A differenza del presidente esecutivo di Telecom Italia, Franco Bernabè, in sala non c’erano i vertici dei principali operatori alternativi, ufficialmente per precedenti impegni ma probabilmente con l’intento di lasciare un messaggio critico verso questa consiliatura e le scelte sull’accesso alla rete. E al tempo stesso si è notata l’assenza dei commissari di centrosinistra (Sebastiano Sortino, Nicola D’Angelo e Michele Lauria) alla quale si è aggiunta quella di Stefano Mannoni (centrodestra) motivata per «impegni improrogabili».
Durissimo il commento di Fastweb, che parla di «rimonopolizzazione del mercato della telefonia fissa per effetto delle misure introdotte nei sette anni di operato dall’Agcom uscente».
Il prossimo consiglio sarà chiamato a risolvere il pesante contenzioso sulla liberalizzazione dei servizi di manutenzione della rete di accesso e, probabilmente, a districarsi tra nuovi intramontabili scenari sulla separazione proprietaria dell’intero network di Telecom Italia. Calabrò ha difeso le scelte fin qui effettuate sull’”ultimo miglio” sostenendo che «non è vero che abbassare il prezzo dell’unbundling della fibra in rame possa costituire una spinta al passaggio alla fibra ottica». e tra i numeri elencati ha ricordato «la diminuzione dei prezzi finali del settore nella misura del 33% negli ultimi quindici anni, a fronte di un aumento del 31% dell’indice generale dei prezzi».
Internet
Resta congelato il regolamento sul diritto d’autore e la circolazione dei contenuti online. Calabrò però, senza troppi giri di parole, attribuisce buona parte della responsabilità al governo. «L’intesa era che l’esecutivo avrebbe adottato una norma di interpretazione autentica che rendesse leggibili per tutti le norme primarie che inquadrano la nostra competenza». Una norma ritenuta non indispensabile, ma estremamente utile. «Finché il Governo – conclude Calabrò – non la adotterà, noi, almeno in questa consiliatura, non ci sentiremo tenuti alla deliberazione del regolamento».
7,2 miliardi
Ricavi del settore tv nel 2005
I ricavi derivanti dalla pay tv ammontavano all’epoca al 23,7% del totale; dal canone arrivava il 20,5 per cento
8,9 miliardi
Ricavi del settore tv nel 2010
I ricavi da Pay tv sono aumentati in cinque anni al 32,6%, mentre la parte assicurata dal canone è calata al 17,4 per cento
54,4%
Introiti da pubblicità nel 2005
La percentuale che arrivava all’intero sistema televisivo dalle inserzioni pubblicitarie superava il 50% del totale
48,2%
Introiti da pubblicità nel 2010
Nell’arco di cinque anni si è ristretta di oltre sei punti percentuali la quota derivante dalla pubblicità
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