L’assoggettamento al Patto di stabilità delle società partecipate dagli enti locali ha numerose implicazioni organizzative e determina, in caso di sforamento dei parametri, pesanti sanzioni economiche anche per l’ente locale socio.
L’articolo 15 del Ddl di stabilità richiede anzitutto che le società affidatarie dirette di servizi per più dell’80% e a partecipazione pubblica maggioritaria (o sottoposte a controllo determinante) comunichino al Mef (entro il 31 marzo di ogni anno) la quota di valore della produzione realizzata con affidamento diretto e la sussistenza del potere di nomina da parte degli enti locali soci di più del cinquanta per cento degli organi di governo e di vigilanza.
Secondo questi parametri, l’assoggettamento al patto riguarda le società a totale partecipazione pubblica affidatarie in house, ma anche le società miste a capitale pubblico maggioritario che siano ancora titolari di affidamenti diretti.
Non rientrano nell’applicazione del Patto le società miste non assoggettate a controllo determinante e, comunque, quelle che siano state costituite con scelta del socio privato con procedura ad evidenza pubblica e contestuale affidamento allo stesso di specifici compiti operativi.
Qualora venga a modificarsi uno dei due requisiti, la società deve comunicarlo subito al Mef (a esempio se la società acquisisce una quota rilevante di servizi mediante gare che riduca la percebtuale della produzione in base ad affidamenti diretti). L’assoggettamento al Patto comporta per le società partecipate dagli enti locali l’obbligo di comunicare al Mef il rispetto, a decorrere dall’esercizio 2015, degli obiettivi, in particolare la realizzazione di un saldo economico non negativo o coerente con un piano di rientro.
Per misurare la capacità delle società di realizzare una sana gestione dei servizi, il Ddl di stabilità individua il saldo economico nel Mol (margine operativo lordo) calcolato come differenza tra il totale del valore della produzione e il totale di una serie di costi e di oneri diversi di gestione.
Se, tuttavia, nel 2013 la società partecipata ha avuto un bilancio con un saldo economico o finanziario negativo, la disposizione prevede che sia tenuta a raggiungere un valore non negativo entro l’esercizio 2017, secondo un piano di rientro, da comunicare entro il 30 settembre 2014 al Mef, con valori annuali entro un range prefissato.
Qualora l’obiettivo del saldo economico secondo i parametri prefissati dalla legge non sia raggiunto, la responsabilità ricade sulla società partecipata e sugli enti soci, per i quali l’obiettivo annuale del patto di stabilità interno nell’anno successivo a quello in cui risulta l’inadempienza della società, è peggiorato di un importo pari all’eccedenza rispetto al medesimo obiettivo annuale non conseguito, in misura proporzionale alla quota di partecipazione.
Per evitare tale situazione, le amministrazioni locali devono vigilare rigorosamente, facendo leva sul sistema dei controlli interni, al quale si affianca il controllo degli organismi di revisione degli stessi enti, che sono tenuti a trasmettere annualmente alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti una relazione sull’andamento gestionale ed economico-finanziario delle società.
A partire dal 2015, le società che non abbiano rispettato gli obiettivi del Patto sono sottoposte a sanzioni pesanti, che si applicano anche in caso di mancata comunicazione delle informazioni. Esse, infatti, non possono sostenere costi operativi in misura maggiore rispetto al valore medio dei costi registrati nel triennio precedente ridotti di un ammontare pari al valore del mancato conseguimento dell’obiettivo annuo, non possono procedere ad assunzioni di personale nonché devono procedere alla riduzione del 30% del compenso di amministratore unico o componenti del cda.
Se le società mancano il rispetto dell’obiettivo del patto per due esercizi consecutivi, gli enti locali devono procedere alla revoca dell’organo di amministrazione della società: se non lo fanno, gli amministratori locali sono responsabili del conseguente danno erariale.
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