Già verso il referendum, dunque. Che Renzi avrebbe non a caso voluto celebrare in estate, assieme alle elezioni amministrative che coinvolgono la maggio parte delle grandi città italiane, proprio per fare da traino per i candidati sindaci del Pd. È la ministra che ha dato il nome alla riforma, Maria Elena Boschi, a frenare gli eccessivi entusiasmi ricordando che mancano ancora due passaggi parlamentari: «C’è soddisfazione, sono molto contenta ma non è ancora il via libera definitivo, ci sono ancora due passaggi e ora ci prepariamo per il Senato». In effetti la seconda e definitiva lettura del Senato, essendo già passati tre mesi dal primo sì, si può fare già dalla prossima settimana, e oggi la presidente della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama ha fissato l’ufficio di presidenza per la calendarizzazione. Il secondo e definitivo via libera della Camera ci sarà a metà aprile, come scriviamo in pagina, e il referendum si potrà celebrare in ottobre. La mancata coincidenza con le amministrative non impedisce comunque al premier di sfruttare la campagna referendaria, che partirà ufficialmente in primavera, per tentare di far risalire il gradimento al Pd nelle grandi città che andranno al voto il 12 giugno. Per questo il premier ha già spostato l’attenzione sull’appuntamento referendario, quasi bypassando le difficili amministrative.
Ma proprio questa personalizzazione del voto sulla riforma del Senato e del Titolo V (Renzi ha detto in più di un’occasione che se dovesse perdere si dimetterebbe) è vista con apprensione dal Nuovo centrodestra, che naturalmente teme di vedere oscurato il proprio fondamentale contributo in Parlamento all’approvazione del Ddl Boschi, e dalla sinistra del Pd. Che con Gianni Cuperlo avverte: «Sarebbe uno strappo gravissimo trasformare il referendum confermativo in un plebiscito personale o comunque in un voto estraneo al merito della riforma. Per quanto mi riguarda lo sbocco finale di questo percorso non è scontato finché non saranno chiari caratteri e qualità della democrazia che sarà destinata a uscire da questa stagione di riforme». Chiaro che la preoccupazione della minoranza Pd è che il voto referendario, con Pd alfaniani e verdiniani da una parte e Sel schierata con il Movimento 5 stelle per il no, finisca per delineare nuovi schieramenti politici. Ma è la stessa Boschi, intervistata in serata a 8 e mezzo (si veda pagina 4), a insistere sulla portata politica dell’appuntamento referendario, più volte descritto dal premier come «lo snodo» della legislatura: «Se gli italiani col referendum decideranno che queste riforme non saranno le riforme per i prossimi anni, tutti nel governo, anch’io ovviamente, dovremo necessariamente risottoporci alla scelta dei cittadini. È una scelta di serietà. Non potremmo fare finta di niente».
Intanto i promotori del No hanno comunicato che è stata già raggiunta la quota di 126 deputati prevista per richiedere il referendum: Sinistra italiana-Sel, Possibile di Pippo Civati e Movimento 5 stelle. Anche se i grillini non aderiranno al comitato per il No: «Il nostro sarà un appoggio esterno», dice Danilo Toninelli.
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