In entrambi i casi non si è infatti raggiunta la maggioranza assoluta. A votare contro gli emendamenti dell’opposizione sono stati 153 nella prima votazione e 154 nella seconda, a cui si devono aggiungere i tre astenuti (al Senato l’astensione vale infatti come voto contrario), in ogni caso sotto quota 161, che è appunto la maggioranza assoluta. Mentre l’opposizione, che solitamente in questi giorni ha oscillato attorno a quota 100, ieri ha superato i 130 voti. Non era mai successo che lo spread, ovvero la distanza tra maggioranza e opposizione, fosse così basso. Ci sono quindi una decina di voti che nel segreto dell’urna sono passati da una parte all’altra.
Qualcuno punta l’indice sui verdiniani, che avrebbero così voluto sottolineare il loro peso. In ogni caso quando si è tornati allo scrutinio palese, i franchi tiratori si sono rimessi in riga: i sì all’articolo 7 sono stati 166, i no 56 e 5 gli astenuti mentre per l’articolo 10 i favorevoli si sono fermati a 165 (i contrari 107 e sempre 5 gli astenuti). A parte i due dissenzienti del Pd (Mineo e Tocci) la maggioranza dunque resta compatta.
A questo punto l’attenzione è puntata soprattutto sull’articolo 21 che disciplina l’elezione del Capo dello Stato e sulla norma transitoria che deve tener conto del nuovo testo dell’articolo 2 sull’elettività dei senatori. Sul Capo dello Stato il sottosegretario Pizzetti ha aperto a possibili modifiche che «recepiscano le istanze dell’opposizione», come ad esempio l’allargamento della platea ai delegati regionali che si aggiungerebbero così ai deputati e ai senatori ridimensionando, sia pure non di molto, la forza della maggioranza alla Camera.
Una scelta che inevitabilmente si rifletterà anche sull’atteggiamento dell’opposizione. M5s, Fi, Lega, Sel e le altre forze di opposizione oggi torneranno a riunirsi per decidere una strategia comune. Ieri è stata la giornata della «resistenza passiva», in risposta – per dirla con il capogruppo di Fi Paolo Romani – «alla totale indisponibilità della maggioranza e del governo a modificare l’articolo 10». L’idea è di andare in crescendo anche perché la riproposizione della «resistenza passiva» alla fine contribuirebbe ad accelerare l’iter del provvedimento, facendo di fatto un favore al governo. Il tempo a disposizioni però scarseggia. Per ora viene escluso l’Aventino, che semmai verrà proposto per il voto finale. Piuttosto è probabile un appello al Capo dello Stato Sergio Mattarella, il quale però già in passato ha spiegato di non voler interferire con le decisioni del Parlamento.
Il governo spinge per fare in fretta e non è da escludere che si possa arrivare già entro la fine della settimana a concludere l’esame del provvedimento, lasciando confermato per il 13 il solo voto finale. Nella maggioranza sono convinti che nonostante il calo registrato ieri sui voti segreti non ci saranno sorprese.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento