Negli enti locali di grandi dimensioni è meglio battere la strada della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale piuttosto che quella del dissesto, al fine di scongiurare le sfavorevoli conseguenze finanziarie che questo comporta. La Corte dei conti, sezione delle autonomie, nella delibera n. 1 del 15 gennaio scorso, nel dettare le linee guida per i controlli da effettuare sugli enti locali nel corso del 2014, al punto 4.6, affronta la problematica della crisi negli equilibri finanziari degli enti locali, ribadendo il concetto e la preoccupazione delle conseguenze nefaste che il dissesto può produrre soprattutto negli enti di grandi dimensioni. Dalla delibera emerge che gli enti che hanno chiuso in disavanzo l’esercizio 2012 sono notevolmente aumentati, pur rappresentando ancora una percentuale limitata. Il fenomeno appare però, nel complesso, assai allarmante.
Il tale contesto, continua la Corte, le modifiche introdotte al Tuel dal dl 174/2012 in materia di piani di risanamento rendono urgente la necessità di individuare le criticità che maggiormente pregiudicano le gestioni così da evitare l’approdo al dissesto.
È una dato di fatto che, a prescindere dagli aumenti di aliquote e tributi, destinati al solo ripiano dell’indebitamento pregresso, il dissesto non riesce mai a soddisfare pienamente le pretese dei creditori, spesso imprese e artigiani locali, che così rischiano anche la stabilità occupazionale. Infatti le procedure di dissesto in corso, malgrado lo stanziamento di 100 milioni di euro, disposto dal dl 35/2013, stentano a chiudersi e probabilmente non si chiuderanno mai, dato che l’art. 31, comma 15 della legge 289/2002, ha abrogato la possibilità di far ricorso al mutuo per finanziare la massa passiva del dissesto. In effetti, attualmente, il mutuo può coprire solo debiti di parte capitale o anche debiti di parte corrente, solo però se sorti antecedentemente alla riforma costituzionale del 2001.
La «procedura di risanamento» è stata introdotta dal comma 2 dell’art. 6, del dlgs 149/2011: qualora dalle pronunce delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti emergano comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli obiettivi della finanza pubblica allargata e irregolarità contabili o squilibri strutturali del bilancio dell’ente locale in grado di provocarne il dissesto finanziario e lo stesso ente non abbia adottato, entro il termine assegnato dalla Corte, le necessarie misure correttive previste la competente sezione regionale, accertato l’inadempimento, trasmette gli atti al Prefetto e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. Ove sia accertato, entro trenta giorni dalla predetta trasmissione, da parte della competente sezione regionale della Corte dei conti, il perdurare dell’inadempimento da parte dell’ente locale delle misure correttive e la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 244 del dlgs 267del 2000, il Prefetto assegna al Consiglio un termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto.
Deliberazione di dissesto che, per tornare alla delibera di Corte dei conti, è l’ultimo stadio di un processo di squilibrio che raramente risulta circoscritto a un solo esercizio, e che si cerca di evitare non solo per scongiurarne le conseguenze finanziarie sfavorevoli ma anche per eluderne le conseguenze sul piano politico.
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