Ma non è certo solo una questione procedurale. Renzi ricorda che il superamento del bicameralismo perfetto con l’istituzione di un Senato delle?Autonomie eletto in secondo grado è nella storia e nei programmi della sinistra da decenni. «Quello che stiamo proponendo è la versione soft di ciò che per 70 anni la sinistra ha proposto. La tesi numero 4 dell’Ulivo nel 1995 riguardava proprio il superamento del bicameralismo paritario con il Senato delle Autonomie. Nel ’98 la Bicamerale presieduta da D’Alema si espresse in questa direzione, anzi andò oltre, infine nel 2007 il centronistra ribadì la posizione votando in commissione alla Camera la bozza Violante». Renzi propone infine di prendere ancora qualche giorno di tempo per trovare un accordo per poi licenziare il testo entro il 15 ottobre in modo da portare in Aula anche le Unioni civili prima della Legge di stabilità. E propone di concordare le modifiche tra senatori e deputati, con riunioni dei responsabili Pd delle prime commissioni, in modo da poter procedere velocemente con la prossima lettura da parte della Camera. Toni soft, ma posizione molto chiara: l’articolo 2 non si tocca. E la minoranza, riunitasi per ribadire la sua posizione prima del discorso di Renzi, ripete a sua volta che si deve riscrivere l’articolo 2.
A dare la sveglia a una giornata che ha fotografato l’incomunicabilità tra maggioranza e minoranza del Pd è di prima mattina Pier Luigi Bersani. L’ex segretario ribadisce a «Radio Anch’io» la necessità di riscrivere l’articolo 2: «Davanti ai temi costituzionali i senatori non possono essere richiamati a una generica disciplina di partito». Senza un’intesa, insomma, la minoranza voterà no. Sulla carta sono 29 voti contrari in un’assemblea in cui la maggioranza si regge per meno di 20 voti compresi i 10 verdiniani. Se le posizioni dovessero restare immutate, il passaggio cruciale sarà la decisione del presidente del Senato Pietro Grasso in merito all’ammissibilità degli emendamenti all’articolo 2 tendenti a ripristinare l’elezione diretta dei senatori. Emendamenti che la minoranza del Pd e le opposizioni (Fi, M5s e Sel) ripresenteranno in?Aula anche dopo la bocciatura in commissione Affari costituzionali (proprio ieri la presidente Anna Finocchiaro ha ribadito che non li riterrà ammissibili). Il governo spera che Grasso alla fine si allinei alla posizione di Finocchiaro, e se così fosse il problema svanirebbe costringendo la minoranza del Pd ad accettare il compromesso dei “listini” di candidati senatori all’interno delle liste per l’elezione dei Consigli regionali. Ma Grasso, stanco di essere tirato per la giacchetta, ha ribadito che prenderà la sua decisione solo dopo e se gli emendamenti all’articolo 2 fossero presentati. E se Grasso dovesse alla fine aprire il varco alle modifiche? Resta pur sempre l’ipotesi della fiducia, possibile anche sul solo articolo 2. Ma la ministra Maria Elena Boschi e i capigruppo del Pd Luigi Zanda ed Ettore Rosato escludono che si ricorrerà alla fiducia, assicurando che la riforma «passerà».
D’altra parte lo stesso?Renzi, in questa fase, non ne fa una questione di disciplina di partito: «Non chiediamo disciplina, che non esiste in materia costituzionale, ma responsabilità verso un Paese che sta ripartendo». La disciplina si è in ogni caso persa per strada già da un po’, sottolinea con pragmatismo il premier, dal momento che non c’è stata sull’Italicum, sul Jobs act, sulla scuola… Intanto, a complicare ancora di più il quadro, i senatori azzurri hanno ribadito ieri, dopo un’assemblea del gruppo, che senza modifiche sull’elettività anche loro voteranno no. E si parla insistentemente di una quindicina di senatori dell’Udc, prevalentemente del Sud, che sarebbero pronti a non seguire le indicazioni di voto di?Angelino Alfano.
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