Regioni, spesa a 150 miliardi

Nella delega fiscale stop alla duplicazione delle addizionali

Il Sole 24 Ore
17 Luglio 2013
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Sanità, spese di personale, trasferimenti a enti locali e consorzi, acquisti: sono, in ordine di importanza, i quattro motori della spesa corrente delle Regioni, che negli ultimi 10 consuntivi ha corso a un ritmo quasi doppio rispetto all’inflazione del periodo: la spesa regionale viaggia oggi oltre quota 150 miliardi all’anno nella sola parte corrente, per la precisione 151,1 miliardi, un valore che supera del 40,3% quello registrato nel 2001 mentre nello stesso periodo l’inflazione cumulata non è andata oltre il 23,1 per cento. Questo dato, unito alle uscite degli altri livelli di Governo, offre la prima spiegazione del boom vissuto negli ultimi anni dal Fisco territoriale (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), su cui ora prova a fare ordine la delega fiscale approvata dal Governo Monti e ora tornata all’esame del Parlamento. Ieri, in comitato ristretto in commissione Finanze alla Camera, è stato approvato un emendamento proposto dal presidente della commissione, Daniele Capezzone (Pdl), che in pratica chiede di chiudere a ogni livello di Governo le porte di imposte su cui già agiscono altri livelli: la traduzione pratica potrebbe essere l’abolizione dell’addizionale Irpef comunale, dal momento che sulla stessa voce agiscono già le Regioni, ma anche l’attribuzione di tutta l’Imu ai Comuni, e così via. «Di ogni tassa – spiega Capezzone – deve essere chiaro se è lo Stato, la Regione o il Comune a metterla». «È un principio federalista che ci piace molto – fa eco dal Pd Marco Causi -, del resto sono due anni che chiediamo l’abolizione dell’addizionale Irpef comunale».

La delega, insomma, prova ad accelerare (si veda anche il servizio a pagina 14) ed a rimettere in riga un affollamento fiscale cresciuto rigogliosamente sul territorio, ma la strada per alleggerire il carico continua a passare dalla riduzione della spesa.

Da questo punto di vista, se i numeri fino al 2011 parlano chiaro, e nemmeno la stretta finanziaria arrivata con la “legislazione d’emergenza” per frenare i bollori dello spread sembra aver imposto un vero cambio di rotta. È presto per avere dati consuntivi dettagliati come quelli a disposizione fino al 2011, ma giusto ieri la Ragioneria generale ha pubblicato l’annuario statistico, che raccoglie le analisi su entrate e spese del 2012, e i dati appaiono tutt’altro che rivoluzionari. Nel consolidato delle amministrazioni locali (i dati non distinguono Regioni, Province e Comuni), mentre le entrate da tributi hanno continuato la propria impennata crescendo del 9,2% sul 2011 e del 18,4% rispetto al 2010, qualche spesa ha cominciato ad arretrare, a partire da quelle per gli stipendi che nel 2012 si sono fermate a 69,3 miliardi, il 2,5% in meno dell’anno prima: ancora una volta, però, sono cresciute le spese per i «consumi intermedi», in pratica gli acquisti di beni e servizi che le amministrazioni comprano per svolgere le proprie funzioni: nel 2012 questa voce ha assorbito 107 miliardi di euro, il 4% abbondante in più rispetto al 2011 e quasi il 6% in più rispetto ai 101,1 miliardi dedicati allo stesso scopo due anni fa. Un aumento, quello delle spese per consumi, nel quale gli enti territoriali non fanno certo eccezione, anzi: le stesse tabelle della Ragioneria mostrano che l’anno scorso i «consumi intermedi» si sono gonfiati ancora di più nell’amministrazione centrale, dove sono passati da 15,6 a oltre 18 miliardi, con un balzo del 15,4 per cento.

Del resto, la spending review targata Monti sembra avere più di un problema. Sempre ieri, un’altra notizia cruciale è arrivata dal Tar Lazio, che ha bocciato il taglio da 11,2 milioni subito dalla Provincia di Genova proprio per il decreto Monti (Dl 95/2012). Il peso della sentenza non è nella cifra, ma nel principio, perché la revisione di spesa andava condotta, secondo la legge, sui soli «consumi intermedi», ma in realtà ha coinvolto nel calcolo anche le spese sostenute per una serie di servizi (come mostrato da ultimo sul Sole 24 Ore del 17 giugno): il problema è ingigantito dal fatto che lo stesso criterio torna nella distribuzione dei tagli 2013 da 2,25 miliardi di euro ai Comuni, che infatti è ancora bloccata in attesa dei decreti attuativi.

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