Fa piacere apprendere di non essere soli a chiedere l’abolizione delle Regioni, trasformate dal clientelismo politico in colossali centrali di sperpero del denaro pubblico. È una battaglia che ItaliaOggi porta avanti da tempo, con interventi sempre documentati e pacati del direttore Pierluigi Magnaschi e di altre firme. Ora scopriamo che anche Matteo Richetti, 40 anni, deputato Pd, è dei nostri. Un alleato prezioso, anche se, da un po’, la sorte gli è avversa. Fino a qualche tempo fa era considerato «il braccio destro» di Matteo Renzi, perché era stato tra i primi, alla Leopolda, a schierarsi al suo fianco nella battaglia per «rottamare» la vecchia guardia del Pd.
Di recente, però, il suo rapporto con Renzi si è incrinato: escluso dalle primarie per scegliere il candidato Pd destinato a governare la Regione Emilia-Romagna, Richetti è approdato tra i critici del premier. E ieri, in un’intervista al Corriere della sera, si è detto deluso dal fatto che Renzi stia pensando più ai consensi che ai provvedimenti «che abbiamo preparato per anni». Per esempio? «Dieci ministeri, dieci Regioni con abolizione di quelle a Statuto speciale, mille Comuni». Una vera rivoluzione.
Poiché Renzi, nei suoi libri e nelle interviste, non ha mai fatto il minimo accenno all’abolizione di metà della Regioni, a cominciare da quelle a statuto speciale, sarebbe opportuno che qualche altro esponente del «cerchio magico» del premier confermasse la rivelazione di Richetti. Finora, più che abolire le Regioni, Renzi ha dato l’impressione di volerle potenziare, fino a trasformare il Senato in una sorta di dopolavoro dei consiglieri regionali e dei sindaci. Ma non per questo Richetti deve passare per un visionario: se dice che Renzi voleva tagliare le Regioni (in primis quelle a statuto speciale), e ridurne il numero da 20 a 10 (oltre a sopprimere 7mila Comuni su 8mila!), c’è di che sperare. Tanto più che l’esigenza di tagliare in profondità la spesa pubblica si è fatta strategica e non può prescindere dal fatto che le Regioni sono diventate dei carrozzoni costosi, di cui si scoprono ogni giorno sperperi incredibili.
Il caso più recente riguarda la Regione Lazio, dove il governatore Nicola Zingaretti (Pd) ha avviato una seria spending review, nel tentativo di porre riparo a più di un decennio di spese folli. Si è così scoperto che, complice il solito clientelismo politico, la Regione Lazio ha il numero più elevato di guardie dei parchi naturali rispetto al resto d’Italia: un esercito di 854 guardie per 13 parchi regionali, in media 65 unità per ogni parco, tutti dipendenti dell’Agenzia regionale dei parchi (Arp). Per dare un’idea dello spreco, basterebbe il paragone con l’Umbria, dove la Regione non ha assunto neppure una guardia, ma ha lasciato che a vigilare sui suoi parchi provvedano le guardie forestali e quelle provinciali, come avviene in tutti i parchi nazionali.
Tra le realtà virtuose, vi è anche il parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano (26 mila ettari, esteso su due Regioni, 16 Comuni e 4 Province), dove i dipendenti sono 6 in tutto, più 8 guardie forestali. Quanto ai parchi più piccoli dell’Emilia e della Toscana, le guardie assunte in pianta stabile dalle Regioni sono uno o due per parco, non di più.
Oltre alle 854 guardie, la Regione Lazio deve retribuire anche gli amministratori dei 13 enti parco: ben 130 tra consiglieri direttivi e revisori dei conti. Autentiche sinecure di stampo clientelare, finora messe a carico dei contribuenti del Lazio. Azzerare il tutto, sarebbe stata la soluzione più logica e decente. Il progetto di spending review, purtroppo, è più clemente: prevede l’abolizione dell’Agenzia regionale dei parchi, la riduzione da 130 a 52 del numero degli amministratori, ma neppure un licenziamento per le guardie parco, che saranno riciclate, con compiti di «prevenzione sul rischio idrogeologico e, all’occorrenza, di protezione civile». Il risparmio sarà perciò modesto, appena 1,7 milioni di euro, che andrà ad aggiungersi ad altri 2,5 milioni a seguito della riduzione di altre 329 poltrone inutili, pagate finora dalla Regione Lazio, e incardinate in enti tipicamente clientelari, come l’Ater, i Consorzi per lo sviluppo industriale e i Consorzi di bonifica.
Per limitarci a questi ultimi, nel Lazio se ne contano dieci, che si ridurranno a due, uno per il Nord Lazio e uno per il Sud. Ogni Consorzio di bonifica ha un Cda composto da 11 persone, più un comitato direttivo di 5 membri e un revisore dei conti. In totale, 160 poltrone, destinate a ridursi a 30. Il Matteo Renzi della prima Leopolda, a sentire Richetti, le avrebbe probabilmente ridotte a zero. Ma ora a Palazzo Chigi , sostiene il suo ex braccio destro, il premier è condizionato dai sondaggi ed ha altri pensieri. Tra questi, la ricerca della mossa smart per vincere le prossime elezioni, come i 100 euro di Tfr in busta paga, viene prima di tutto, anche dell’abolizione delle Regioni. Ma con ItaliaOggi faremo in modo che non se ne dimentichi.
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