Tra le incognite eterne in cerca di risposta c’è anche la sanatoria delle aliquote di Imu, Tasi e altri tributi locali decise dai Comuni dopo il 30 luglio, data in cui è scaduto il termine per l’approvazione dei bilanci preventivi (tranne che in Sicilia, dove la scadenza era stata spostata al 30 settembre). La sanatoria dei ritocchi varati fino a settembre, che potrebbe riguardare fino a un migliaio di Comuni, era già entrata nella legge di conversione del decreto sulla voluntary, ma era stata stralciata in extremis dal presidente del Senato Pietro Grasso per incompatibilità di materia. Per questa ragione, è spuntata l’ipotesi, chiesta dall’Anci, di ripescarla nel nuovo decreto sulla finanza locale: ipotesi che sembra aver ottenuto un via libera tecnico dal ministero dell’Economia, ma che si scontra con l’opposizione politica di Palazzo Chigi dove uno sblocco ex post delle aliquote ritardatarie suona stonato rispetto al congelamento del fisco locale appena deciso per il 2016. In questo quadro, di conseguenza, i Comuni interessati dovrebbero trovare un’altra strada per chiudere i bilanci in equilibrio: anche per loro, il termine è quello del 30 novembre, per cui l’incertezza pare destinata a durare fino all’ultimo minuto. Le date, del resto, sono ballerine anche per l’anno prossimo, perché il blocco generale si applica alle aliquote decise al 30 giugno, ma quello sullo 0,8 per mille aggiuntivo della Tasi sulle seconde case è riferito al 30 settembre.
Più grosse, com’è ovvio, le cifre in gioco nelle Regioni, che ieri hanno fatto slittare il loro parere sulla manovra e che dal decreto attendono la possibilità di ripianare in 30 anni il disavanzo creato dalla gestione dei fondi sblocca-debiti anticipati nel 2013 dall’Economia. L’ultima emersa ieri riguarda la Puglia, dov’è stato lo stesso governatore Michele Emiliano a parlare di un disavanzo da 600 milioni in caso di mancata approvazione del decreto. «Questa ipotesi – ha tenuto comunque a precisare Emiliano – non si verificherà perché il Governo ha già garantito l’approvazione del decreto». In Piemonte, la Regione da cui tutto è partito con la sentenza della Corte costituzionale che ne ha bocciato il rendiconto 2013, la questione dello sblocca-debiti vale da sola 2,55 dei 5,8 miliardi di disavanzo certificato dalla Corte dei conti, e proprio gli esami condotti in queste settimane dalla magistratura contabile sui bilanci territoriali hanno definito i contorni del problema in tante amministrazioni, al punto che le stime parlano di circa 9 miliardi da coprire. Il provvedimento studiato all’Economia, anch’esso imbarcato su un’altalena normativa che l’ha fatto apparire e scomparire prima nella legge di conversione del decreto enti locali di giugno e poi nelle bozze di manovra, non dà fondi aggiuntivi alle Regioni, ma permette appunto un ripiano in 30 anni che abbassa notevolmente la rata da garantire a partire da quest’anno. Per le Regioni dove la questione si è rivelata più spinosa, si tratta nei fatti di evitare il dissesto, determinato da una modalità di gestione che, ha ribadito ieri il presidente del Veneto Luca Zaia intervistato da 24Mattino su Radio 24, era stata portata avanti in accordo con i tavoli governativi.
La Corte costituzionale tornerà comunque presto a occuparsi di finanza regionale. Ieri la commissione tributaria di Campobasso ha rimandato alla Consulta la regola delle super-addizionali, che aumenta in automatico le aliquote di Irpef regionale e Irap per ripianare gli extra-deficit sanitari: una regola che oggi si applica in Molise e Campania, e che sfugge anche al congelamento del fisco locale previsto dalla legge di stabilità.
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