La disciplina sulla “trasparenza amministrativa” sin dalla legge n. 241/1990 ha posto al centro la partecipazione del cittadino all’azione amministrativa (ex art. 10 della cit. legge), ampliando tale concetto con il d.lgs. 150/2009 (c.d. decreto Brunetta) dove la trasparenza veniva intesa come “accessibilità totale”, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione e dall’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità (ex art. 97 Cost.).
La trasparenza è un principio cogente su cui regge l’intera azione amministrativa, costituisce livello essenziale delle prestazioni (c.d. LEP) erogate dalle amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, corollario diretto dell’accesso ai documenti amministrativi al fine di diffondere forme diffuse di controllo sociale sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche (ex art. 1 del d.lgs. n. 33/2013, c.d. decreto trasparenza).
La trasparenza sull’accesso delle informazioni e dei documenti amministrativi (il c.d. accesso civico) può incontrare dei limiti cogenti per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di interessi pubblici o privati (ex art. 5 bis del d.lgs. n. 33/2013), assicurando misure idonee per il trattamento dei dati personali, evitando una diffusione indiscriminata degli stessi (ex art. 13 del Regolamento (UE) 2016/679).
Si comprende già da questo “limitato” impianto normativo che la trasparenza, nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali, concorre «ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione», quale «condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali», integrando «il diritto ad una buona amministrazione», perseguendo «alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino» (ex comma 2 dell’art. 1 del decreto trasparenza).
Traslando tali profili di libertà nel sistema delle “Autonomie Locali” non possiamo non rilevare (ex art. 43 del d.lgs. n. 267/2000, c.d. TUEL) che tra i diritti dei consiglieri comunali vi è quello «di iniziativa su ogni questione sottoposta alla deliberazione del consiglio… e di presentare interrogazioni e mozioni» nonché quello «di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge».
Il diritto di accesso, nella più lata accezione(1), potrà avvenire in modalità analogica o, più in generale, in modalità digitale atteso che le Amministrazioni «assicurano la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale e si organizzano ed agiscono a tale fine utilizzando con le modalità più appropriate e nel modo più adeguato al soddisfacimento degli interessi degli utenti le tecnologie dell’informazione e della comunicazione» (ex art. 2, comma 1 del d.lgs. n. 82/2005, recante il c.d. Codice dell’amministrazione digitale, CAD).
Il Consigliere comunale ha diritto, pertanto, di poter accedere alle informazioni in libertà, senza interferenze interne, e in relazione del doveroso approntamento e del costante adeguamento delle tecnologie informatiche in modalità digitale(2), visto che per “documento amministrativo” deve intendersi «ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti», ai sensi dell’art. 22, comma 1, lettera d) della legge n. 241/1990.
Invero, dall’art. 22 è possibile desumere anche l’esistenza di un’ampia nozione di documento amministrativo, nell’ambito del quale si ricomprende «ogni narrazione di fatti desumibile da supporti scritti, iconografici, elettronici o altro: non si tratta pertanto della necessità di elaborare dei dati, quanto di reperirli in modo idoneo e di presentarli al richiedente che dimostra di aver titolo a visionarli e a copiarli»(3).
Vi è da dire che l’esercizio del munus pubblicum non può essere ostacolato – da richieste degli uffici – di motivare le istanze informative e/o per ragioni di riservatezza e/o per essere già stato accordato ad altro soggetto (il diritto conoscitivo), atteso che da una parte, il diritto di accesso è “individuale”, dall’altra parte, il consigliere comunale è tenuto a mantenere il segreto sulle informazioni di cui viene a conoscenza nell’esercizio del potere connesso al ruolo(4), riflettendosi nelle sue doti di libero svolgimento di una funzione pubblica, normativamente protetta, soprattutto nella sua funzionalizzazione all’interno del Consiglio comunale.
Si comprende che l’attività del consigliere comunale è estesa nei più diversi ambiti di intervento dell’Ente locale, e si estrinseca nell’esigenza di acquisire e documentare il proprio operato in una duplice funzione, da una parte, riferita al c.d. sindacato ispettivo e di controllo sull’operato degli organi di governo (Sindaco e Giunta comunale) in relazione all’appartenenza (se di minoranza l’intensità è maggiore), dall’altra parte, quella di relazionarsi con il proprio elettorato, ovvero con la cittadinanza dimostrando nel concreto l’esercizio delle proprie attitudini politico – amministrative.
Il consigliere comunale opera indistintamente all’interno dell’Amministrazione per poter esercitare le proprie funzioni, collocando il proprio ambito d’intervento all’interno del Consiglio comunale, organo di rappresentanza generale con compiti di natura generale programmatoria, sede principale delle decisioni più significative per il Comune (ex art. 42 del TUEL)(5).
Si osserva, allora, che è vitale definire l’organizzazione dei lavori della consiliatura e in questo senso, l’art 38 del D.Lgs. n. 267/200 dispone che «il funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto, è disciplinato dal regolamento, approvato a maggioranza assoluta, che prevede, in particolare, le modalità» per «la discussione delle proposte… I consigli sono dotati di autonomia funzionale e organizzativa. Con norme regolamentari i comuni e le province fissano le modalità per fornire ai consigli servizi, attrezzature e risorse finanziarie. Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e nelle province possono essere previste strutture apposite per il funzionamento dei consigli… Le sedute del consiglio e delle commissioni sono pubbliche salvi i casi previsti dal regolamento», delineando le linee guida per disciplinare i lavori, selezionando con fonte interna le regole del funzionamento del dibattito consiliare, e, di conseguenza, le fasi di adozione dei provvedimenti del Consiglio Comunale.
Il “registro” dei lavori del Consiglio comunale è affidato, ai sensi dell’art. 39 del TUEL, ad un presidente eletto tra i consiglieri nella prima seduta del consiglio con «i poteri di convocazione e direzione dei lavori e delle attività del consiglio», nonché con il compito di assicurare «una adeguata e preventiva informazione ai gruppi consiliari ed ai singoli consiglieri sulle questioni sottoposte al consiglio», completando il quadro delle regole minime che devono seguire e presidiare coloro che sono chiamati a “gestire” l’attività e i lavori consiliari.
Non a caso la revoca del Presidente del Consiglio comunale è legittimamente motivata qualora assuma un comportamento scorretto nella conduzione dei lavori non potendo diversamente essere motivata sulla base di una valutazione fiduciaria di tipo strettamente politico ma, trattandosi di figura posta dall’ordinamento degli Enti locali a garanzia del regolare andamento del Consiglio Comunale e della corretta dialettica tra maggioranza e minoranza, giustificando la revoca solo dal cattivo esercizio della funzione, in quanto ne sia viziata la neutralità, e motivata perciò con esclusivo riferimento a tale parametro(6).
È, pertanto, illegittima la condotta del Presidente del Consiglio comunale che abbia impedito ad alcuni consiglieri di minoranza di partecipare alla seduta del Consiglio prima della conclusione della votazione e della trattazione del successivo argomento all’ordine del giorno, essendo da ritenere un principio generale il diritto del consigliere di prendere parte alle attività dell’organo consiliare finché non si siano esauriti gli argomenti posti all’ordine del giorno, essendo del tutto inconferente il momento del suo intervento alla seduta, compreso quello relativo alla votazione, non costituendo al riguardo alcuna preclusione il fatto di essere stato assente alla propedeutica fase della discussione o di essere intervenuto quando la votazione era in corso(7).
Si può desumere dal quadro descritto che il consigliere comunale ha un diritto pieno di partecipare alle sedute del Consiglio, potendo intervenire in qualsiasi momento dei lavori, nel senso di poter partecipare o meno agli stessi, con piena facoltà di esprimere il suo voto, non potendo essere preclusa la sua partecipazione, senza creare un evidente vulnus alle prerogative istituzionali del consigliere stesso.
La verbalizzazione
In questo contesto argomentativo, risulta altrettanto evidente che la partecipazione del consigliere comunale all’attività del consiglio comunale è un momento vitale per i lavori e il dibattito consiliare, la sua assenza reiterata ne può comportare la decadenza(8), evidenziando che gli interventi attivi del consigliere assumono un ruolo ex se di valutazione motivazionale degli atti assunti dal consiglio, riassumibili a verbale, e la loro documentazione non è indifferente ai fini di comprendere l’iter decisionale e gli effetti voluti sul contenuto finale, identificando individualmente l’apporto del singolo consigliere con il voto espresso.
È indubbio che la motivazione degli atti deliberativi può essere legittimamente desunta dalle opinioni espresse dai singoli componenti dell’organo, le quali costituiscono esplicazione delle ragioni addotte per suffragare il contenuto della votazione nel corso della trattazione di ciascun affare sottoposto all’esame dell’organo collegiale: la votazione costituisce, infatti, strumento di manifestazione finale della volontà del collegio, qual è maturato attraverso l’enunciazione degli elementi di valutazione e comparazione degli interessi che formano oggetto della discussione, preordinata al confronto delle posizioni dei singoli membri per una più ponderata deliberazione(9).
La verbalizzazione degli interventi assume, di conseguenza, una propria funzione probatoria in grado di formalizzare il processo mentale che rende il ragionamento in base al quale il consiglio comunale, muovendo da determinati presupposti di fatto e di diritto, si determina ad emettere il provvedimento, delineando, appunto, la quota di partecipazione del singolo consigliere al processo motivazionale e decisionale dell’organo.
La discussione e gli interventi sono, entrambi, elementi fondamentali dei diritti dei consiglieri comunali, parte redazionale del verbale, momento di enunciazione delle singole posizioni, apparato istruttorio motivazionale; diversamente opinando sarebbe incomprensibile capire l’attività esercitata e il voto espresso, oltre ovviamente le regole minimali di democrazia, qualora non sia garantito il dibattito e il diritto di parola(10).
In definitiva, la verbalizzazione può essere in grado di integrare la motivazione, e anche se non vi è ragione per derogare dal principio generale secondo il quale gli apprezzamenti dei componenti dell’organo sono destinati ad essere assorbiti nella decisione collegiale finale, costituente momento di sintesi della comparazione e composizione dei giudizi individuali, il verbale di seduta non è altro che “la forma” attraverso la quale si estrinseca la deliberazione che ne costituisce il contenuto(11).
Non è contestabile che il verbale è il documento preordinato alla descrizione di atti o fatti, rilevanti ai fini giuridici, capace di imporre la certezza legale della descrizione degli accadimenti constatati, documentandone l’esistenza(12): esso costituisce l’elemento essenziale della esternazione e della documentazione delle determinazioni amministrative assunte dall’assemblea, nonché la condizione necessaria perché le determinazioni stesse acquistino valore di espressione di potestà amministrativa: la funzione del c.d. processo verbale di collegio amministrativo è di descrivere con immediatezza cronologica le operazioni compiute, e, inoltre, di rivestire di forma scritta le deliberazioni collegiali(13).
Volendo trasferire in questo dibattito la trasparenza nella sua più estesa definizione, appare evidente che la verbalizzazione degli atti consiliari, e la riproduzione integrale degli interventi dei consiglieri comunali rappresenta la massima espressione della partecipazione degli stessi ai lavori consiliari, al punto che se la verbalizzazione per sintesi degli argomenti svolti da presenti è pienamente legittima sotto il profilo documentale, l’inserimento di dichiarazione sotto dettatura, qualora gli interessati intendano chiedere la riproduzione dei propri interventi in forma integrale e completa, si può ammettere, sostiene la giurisprudenza amministrativa(14), quando gli stessi siano già dotati del proprio testo scritto, che verrà inserito nel verbale esclusivamente in forma di allegato, di cui devono fornire copia al verbalizzante (Segretario comunale) contestualmente o dopo l’avvenuta lettura dello stesso.
Per ovviare a tali limitazioni di natura pratica, la riproduzione sonora o la videoripresa dei lavori consiliari può legittimamente rappresentare la verbalizzazione completa e integrale del dibattito consiliare, e può legittimamente costituire documento amministrativo in qualità di allegato(15), specie quando tali modalità operative sono state recepite in sede regolamentare.
È noto che a giustificare una diffusione di una riproduzione televisiva (filmato) o la pubblicazione di una foto in ambito giornalistico devono essere presenti diversi elementi, quali l’oggettivo interesse (generale) pubblico alla conoscenza del fatto (la vicenda narrata o rappresentata nell’immagine) collegato all’utilità sociale della divulgazione, il rispetto dei principi di pertinenza e continenza dell’informazione(16), l’adozione di modalità espressive adeguate allo scopo informativo (17).
Con questo si può già dichiarare che la verbalizzazione mediante videoripresa assolve nella sua pienezza lo scopo informativo/conoscitivo del verbale, riproducendo fedelmente tutti gli accadimenti e le dichiarazioni dei consiglieri comunali nel momento stesso della loro rappresentazione, con una funzione di prova certa, espandendo al massimo il c.d. interesse pubblico alla conoscenza.
È giusto rammentare che per la riproduzione o la diffusione o portare a conoscenza del pubblico le dichiarazioni dei consiglieri comunali nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali (in seduta pubblica nel corso dei lavori consiliari) non è necessario l’acquisizione del consenso degli autori, attesa l’assenza del “carattere confidenziale” delle dichiarazioni, non rientrante nemmeno nell’alveo dell’“intimità della vita privata”, sicché le valutazioni espresse di carattere politico e il loro pronunciamento ad una numero indeterminato di soggetti escludono ogni forma di autorizzazione preventiva sul trattamento dei dati personali, essendo prevalente l’interesse pubblico e il diritto di cronaca(18).
(1 – Continua)
NOTE
(1) T.A.R. Basilicata, sez. I, 3 agosto 2017, n. 564.
(2) Cons. Stato, sez. V, 8 giugno 2018, n. 3486.
(3) T.A.R. Toscana, Firenze, sez. I, 31 maggio 2018, n. 775, T.A.R. Liguria, Genova, sez. I, 9 maggio 2018, n. 434.
(4) Ai consiglieri comunali non può estendersi la disciplina prevista per gli impiegati civili dello Stato dall’art. 15 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, Cass. Pen., sez. VI, 30 settembre 2009, n. 39706.
(5) T.A.R. Molise, sez. I, 21 dicembre 2016, n. 535; Cons. Stato, sez. IV, 9 maggio 2018, n. 2762 e sez. V, sentenza 27 ottobre 2014, n. 5284; T.A.R. Veneto, sez. II, 24 luglio 2015.
(6) T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 29 marzo 2018, n. 670.
(7) T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 16 gennaio 2017, n. 112.
(8) T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 20 aprile 2018, n. 925.
(9) C.G.A., sez. giurisdizionale, 19 ottobre 2010, n. 1279.
(10) LUCCA, Diritti dei consiglieri comunali, condotte ostruzionistiche e tumulti in Consiglio comunale: trasparenza e bilanciamento di poteri per una soluzione concreta, LexItalia.it, 13 giugno 2017, n. 6.
(11) La verbalizzazione, lungi dall’assolvere ad una funzione descrittiva, è teleologicamente diretta ad garantire la “trasparenza” del dibattito consiliare, posta comunque a tutela della correttezza dell’azione amministrativa, Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2016, n. 3538.
(12) Il verbale è l’unico mezzo attraverso il quale può essere provata (fa prova fino querela di falso) l’esistenza della deliberazione collegiale e questa può essere conosciuta all’esterno, e non può essere integrato o disatteso da dichiarazioni in via postuma, Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 1963, n. 116.
(13) Cons. Stato, sez. VI, 14 giugno 1960, n. 423.
(14) T.A.R. Emilia – Romagna, Parma, sez. I, 7 gennaio 2010, n. 1.
(15) Cfr. l’art. 1, comma 1, lettera a) del D.P.R. n. 445/2000, ove si stabilisce che per «documento amministrativo è ogni rappresentazione, comunque formata, del contenuto di atti, anche interni, delle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa». Infatti, un consigliere comunale ha diritto ad ottenere la trascrizione completa della registrazione riguardante una delibera consiliare, essendo la registrazione sonora delle sedute consiliari suscettibile di essere inclusa nella nozione di «documento amministrativo» rilevante, ai sensi dell’art. 22 comma 1 lettera d) della Legge n. 241/90, ai fini dell’esercizio del diritto di accesso, dal momento che in tale nozione è espressamente ricompresa, T.A.R. Piemonte, sez. I, 27 maggio 2011, n. 563.
(16) Nel senso che l’informazione di stampa non deve trasmodare in argumenta ad hominem né assumere contenuto lesivo dell’immagine e del decoro, Cass. Civ., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22600.
(17) Cass. Civ., sez. I, 22 luglio 2015, n. 15360; Cass. pen., sez. III, 20 gennaio 2010, n. 690; 20 ottobre 2009, n. 22190, 6 agosto 2007, n. 17172. Cfr. Garante per la protezione dei dati personali, Privacy e giornalismo. Alcuni chiarimenti in risposta a quesiti dell’Ordine dei giornalisti, 6 maggio 2004, doc. web n. 1007634.
(18) Cfr. Garante per la protezione dei dati personali, doc. web n. 6118783, Provvedimento del 2 febbraio 2017, Registro dei provvedimenti n. 36 del 2 febbraio 2017.
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