Del predissesto non ha funzionato nulla, o quasi. Nessun miglioramento diretto dei bilanci interessati, se non – esclusivamente – in forza dei provvedimenti legislativi successivi alla sua introduzione (Dl 35/2013 e 66/2014) che hanno esteso a un trentennio quanto era impossibile ammortizzare nel decennio previsto dalla regola originaria.
Per quel che riguarda i piani di riequilibrio ritenuti inadeguati dalle sezioni di controllo regionali della Corte dei conti, ci hanno pensato le sezioni Riunite a rimetterli in gioco, ancorché senza chance. Sotto un altro versante, le relazioni di inizio e fine mandato, rispettivamente, dei sindaci subentranti e di quelli uscenti, sono diventati atti meramente burocratici. Hanno perso la loro utilità anche perché nei loro confronti non vi è stata attenzione alcuna, sia da parte dei politici locali sia delle collettività cui erano principalmente rivolte, allo scopo di consentire – quanto a quella di fine mandato sulla quale è di recente intervenuta la Sezione delle autonomie (delibera 15/2015) – un voto più consapevole. Insomma, una generale sottovalutazione per gli strumenti di risanamento e di controllo sociale.
A fronte di tutto questo, sono rimasti nella rete i piani di riequilibrio in itinere, specie quelli ancora sotto esame. In molti casi si è perso l’interesse a mantenerli in vita, dal momento che l’ammortamento trentennale dei finanziamenti pubblici destinati ai debiti, anche fuori bilancio, ha risolto i problemi. Dunque, tra riaccertamenti ordinari (articolo 228 del Tuel) e straordinari (uno propedeutico a elaborare il fatidico piano di rientro e l’altro funzionale all’armonizzazione contabile) diversi Comuni vivono un profondo imbarazzo procedurale. Vengono, infatti, a trovarsi sotto esame delle sezioni regionali di controllo pur avendo in linea di massima risolto i loro problemi con i mutui perfezionati ad hoc con la Cassa depositi e prestiti, peraltro recentemente rinegoziabili a condizioni più favorevoli in base al piano appena lanciato e poi prorogato dalla Cassa per aprire le porte anche agli enti in esercizio provvisorio.
Il problema è rappresentato dal che cosa fare, piuttosto che attendere l’esito di un giudizio su un piano di risanamento al massimo decennale superato dalla realtà.
Le ipotesi sono due, entrambe non specificatamente contemplate dal legislatore. La prima riguarda la possibilità di ricorrere alla revoca del piano di riequilibrio a suo tempo approvato sulla base degli strumenti allora a disposizione: una mossa che dovrebbe comportare naturalmente la restituzione della quota di fondo eventualmente goduta. Un modo per cristallizzare ed estinguere ex se la procedura in atto, rimettendo il tutto ai controlli relativi agli appuntamenti ordinari ex articolo 148-bis del Tuel.
La seconda attiene alla modifica del piano di riequilibrio, da doversi deliberare ovviamente con le stesse modalità previste per la sua originaria approvazione consiliare. Una soluzione, questa, che prevederebbe il riesame dello strumento pianificatorio da parte degli organi ministeriali, e il giudizio finale della Sezione di controllo competente.
Considerata la diffusa incertezza e i frequenti interrogativi che genera, sarebbe forse corretto un intervento in tal senso del legislatore oppure l’adozione di una delibera dalla Sezione delle Autonomie.
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