Messe ormai in naftalina le divise da sceriffo, i sindaci si leccano le ferite e guardano al dopo-Consulta. La sentenza del 7 aprile, che ha ridimensionato i poteri dei primi cittadini in materia di sicurezza, ha infatti trascinato nel nulla le ordinanze emesse in virtù della disposizione di legge censurata. Tutte quelle, cioè, adottate senza una reale urgenza e con una efficacia senza limiti di tempo. È il caso, ad esempio, dei provvedimenti sui lavavetri, sull’accattonaggio o sulle lucciole. «Fa parte dei doveri degli amministratori – spiega Tommaso Frosini, costituzionalista – adeguarsi ai principi di legalità. Se i sindaci non cestinano i provvedimenti in contrasto con il dettato dei giudici o emanano nuove ordinanze che comunque ne violano i precetti, i destinatari, e cioè in primo luogo i cittadini, possono rivolgersi al Tar per chiederne l’annullamento». Eppure, la possibilità di far rientrare dalla porta ciò che è scappato dalla finestra c’è. «La strada – indica Piercarlo Fabbio, sindaco di Alessandria – può essere quella del regolamento di polizia urbana, materia conferita dalla Costituzione, all’articolo 117, alle regioni e poi ai comuni». È quindi possibile inserire nel regolamento comunale parte dei contenuti delle ordinanze rese ora inefficaci dalla Corte costituzionale. «Ovviamente – aggiunge Fabbio – il regolamento è votato in consiglio, con i tempi che ci vogliono, e quindi l’urgenza va a farsi benedire…». In ogni caso, la prima operazione che ciascun sindaco deve fare è guardare in casa e verificare se i propri provvedimenti rispettano o meno i paletti della Consulta. A Roma, ad esempio, si è convinti non ci siano problemi. «Sul decoro e la sicurezza – sottolinea Giuseppe Ciardi, consigliere delegato del sindaco Alemanno – abbiamo firmato otto ordinanze e tutte hanno un termine certo e pertanto, in attesa di approfondimenti da parte dell’Av-vocatura generale dello Stato, le manteniamo nella loro piena efficacia. Naturalmente, qualora dovessero pervenire delle osservazioni, ci adegueremo». «Di ordinanze che a una prima analisi sembrano effettivamente colpite dalla Consulta – afferma invece il sindaco di Novara Silvana Moscatelli – ne abbiamo due, quella sul burqa e quella che obbliga i negozi etnici a mantenere una certa distanza gli uni dagli altri. Faremo comunque in giunta un supplemento di istruttoria, ma credo che la sospensione scatterà solo per queste due». Il sindaco Moscatelli ritiene poi una buona idea la possibilità di “sfruttare” il regolamento come calderone in cui ospitare le previsioni delle ordinanze, ma essendo un’amministrazione in scadenza preferisce lasciare il campo alla giunta che verrà. C’è poi chi si affida anche ai suoi collaboratori, come Giorgio Pighi, sindaco di Modena nonché presidente del Forum italiano per la sicurezza urbana, che ha coinvolto il comandante della polizia municipale. «A parte le ordinanze sulla prostituzione e sull’alcol, ne ho firmata una contro i comportamenti molesti nei luoghi di cura. Sarà probabilmente sufficiente renderla contingibile, indicare cioè in quali ospedali si applica, per allinearla al volere della Corte costituzionale». Anche Padova cade nella tagliola della Consulta. Secondo il sindaco Flavio Zanonato «sono due le ordinanze da rivedere, quella relativa al disturbo provocato dai clienti delle prostitute e l’altra, quasi identica, che mira a colpire lo spaccio di sostanze stupefacenti. L’obiettivo non è certo quello di sostituire il codice penale con le nostre delibere, ma di dare una risposta ai cittadini». Zanonato, peraltro, è anche il delegato dell’Anci per la sicurezza. L’associazione ha diramato una prima nota orientativa sugli effetti della sentenza della Corte costituzionale (si veda la scheda a lato) a uso e consumo dei primi cittadini. Una sorta di check list per consentire agli amministratori locali di effettuare un primo controllo sulla legittimità dei propri provvedimenti.
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