In tutte le regioni la quota di donne presenti nei consigli regionali è inchiodata al massimo al 20 per cento. E le cose non vanno molto meglio per quanto riguarda le giunte. Solo la Toscana ha imboccato la strada della parità nella rappresentanza di genere, con il presidente Enrico Rossi che, scegliendo la propria squadra (10 assessori), ha voluto accanto a sé 5 donne. In realtà a essere più indietro non sembrano tanto i governatori, quanto i partiti. Perché è spulciando tra i banchi dei consigli che si nota come la presenza femminile sia davvero ridotta all’osso. Sempre la Toscana, per esempio, su 55 consiglieri annovera solo 10 donne. E nemmeno la legge regionale 25/2004, che prevede nei listini almeno una donna e nelle liste provinciali di stoppare a un massimo dei due terzi i candidati dello stesso genere, sembra aver sortito molti effetti. L’assenza di sanzioni ha di fatto portato il Pdl ad avere una sola donna su 16 consiglieri. Ammette il capogruppo Alberto Magnolfi: «Un fatto non positivo e bisogna prenderne atto. Il partito nella scelta dei candidati si è posto soprattutto un problema di rappresentanza delle varie province e delle forze che facevano capo all’ex An e all’ex Forza Italia. Poi le liste bloccate, senza la possibilità di esprimere preferenze, hanno fatto il resto». Il Pdl in Emilia-Romagna non ha in Assemblea legislativa nemmeno una consigliera, nelle Marche 2 su 10, in Umbria 1 su 7 (in totale, in tutta l’area , solo il 6,8%). Ma più o meno tutti i partiti non sembrano fare grande sfoggio di sensibilità verso le quote rosa, a parte l’Udc che con 3 donne su 7 consiglieri in tutto il Centro-Nord raggiunge il 42,8 per cento. Qualche sforzo arriva dal Pd, che ha piazzato 15 donne su 76 consiglieri (una quota del 19,7%), ma che non riesce neppure a superare la soglia di 2 donne su 11 in Umbria, dove pure ha espresso come presidente della regione Catiuscia Marini. Se la maglia nera spetta al Pdl, la Lega la segue però a ruota: su 11 consiglieri conta infatti una sola donna (circa il 9%). Con il risultato che nei consigli regionali di Emilia-Romagna e di Toscana la quota di presenze femminili si blocca al 20%, in quello delle Marche al 16,3%, in Umbria al 13,3 per cento. Una questione che, per ora, non sembra preoccupare più di tanto Palmiro Ucchielli, segretario del Pd delle Marche, regione in cui la legge sulle quote rosa (27/2004) prevede un limite di genere fissato ai due terzi del totale (come in Toscana). «Oggi non sono le quote rosa la vera emergenza da affrontare – dice Ucchielli – anche se il tema del protagonismo femminile resta in campo così come quello del ricambio della classe dirigente. Presto organizzeremo una conferenza regionale sulle donne e personalmente credo che dovrebbero essere previste per legge primarie per tutti i partiti, con assemblee elettive composte per la metà da donne». Se le Marche hanno il primato negativo dell’area per le presenze femminili in Giunta (sono solo 2 su 10), in Emilia-Romagna – che a differenza della Toscana, dell’Umbria e delle stesse Marche non si è dotata di una legge sulle quote rosa – il governatore Vasco Errani ha portato a 5 le donne della sua squadra, su 13 assessori. Un passo in avanti, secondo Anna Pariani, consigliera del Pd emiliano-romagnolo, che pure punta il dito su partiti e legge elettorale. «Nelle circoscrizioni ampie – dice – si riesce a far eleggere qualche donna, ma in quelle dove ci può essere un solo eletto va avanti un uomo, anche perché normalmente le preferenze premiano chi ha un percorso politico alle spalle. La dimostrazione è che delle elette del Pd quattro lo sono state con le preferenze e due con il listino del presidente. Per dare più possibilità alle donne dovrebbero essere allargate le circoscrizioni elettorali. E ora abbiamo presentato una proposta di legge per l’istituzione della commissione pari opportunità nell’Assemblea legislativa, per promuovere la parità di genere su tutto l’impianto normativo». Resta il fatto che anche laddove le leggi sulle quota rosa vengono rigorosamente rispettate le preferenze si orientano soprattutto sugli uomini. Cosa che spiega anche come mai in Umbria, nonostante sia previsto dalla legge regionale 2/2010 che nessuno dei due sessi superi i due terzi dei candidati nelle liste provinciali, la presenza femminile sia davvero risicata. «Ottenere consenso non è facile – dice Daniela Albanesi, presidente del Centro per le pari opportunità della regione Umbria – e basarci solo sulla cultura e sulla sensibilità dei partiti rende tutto più difficile, servono norme». Non che in Umbria non siano stati fatti passi in avanti, con donne sindaco, nella provincia di Perugia, arrivate almeno al 23 per cento. Ma la proposta del Centro per le pari opportunità di prevedere almeno il 50% di donne nelle liste provinciali e nel listino collegato al presidente per le elezioni regionali, è stata rispedita al mittente.
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