Con l’Imu si riproporrà la questione delle residenze anagrafiche separate acquisite dai due coniugi al solo fine di beneficiare delle agevolazioni di legge.
In ambito Ici, questo comportamento era stato censurato dalla Cassazione, nella sentenza n. 14389/2010. In tale pronuncia, si era infatti rilevato che il concetto di abitazione principale richiede la dimora abituale non solo del contribuente ma anche dei suoi familiari, secondo quanto previsto nell’articolo 8, del decreto legislativo n. 504/92. Ne conseguiva che, anche se fosse dimostrato che la dimora abituale di uno dei coniugi era in un comune diverso, avrebbe dovuto ritenersi prevalente la residenza familiare, che costituiva l’unica abitazione principale. Ciò, naturalmente, sempre che il contribuente non avesse provato l’insanabile frattura del rapporto coniugale.
Nella disciplina dell’Imu, tuttavia, il requisito della coesistenza nella dimora del contribuente e dei suoi familiari non è stato confermato. L’abitazione principale è infatti costituita dall’immobile in cui il soggetto passivo dimora e risiede, senza più riferimento ai suoi familiari. Sembra quindi tecnicamente possibile separare le residenze dei coniugi, duplicando così i benefici di legge (aliquota ridotta e detrazione). Al riguardo, occorre ribadire che la residenza, da sola, non basta per integrare l’abitazione principale. Bisogna anche dimostrare che in quella casa si dimora abitualmente. In presenza di una residenza disgiunta rispetto al resto della famiglia, potrebbe ritenersi invertito l’onere della prova a carico del contribuente. Si è dell’avviso, però, che una volta che la prova sia stata data, a esempio con riferimento al luogo di lavoro o con l’esibizione di bollette, simili comportamenti, in quanto espressione di libertà personali, non possano essere ‘sanzionati’.
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