«Per lo sviluppo 85 miliardi UE». E il governo punta a nuovi tagli

Il Ministro Moavero intervistato dall’Avvenire il 30 giugno scorso

2 Luglio 2013
Modifica zoom
100%

«L’Europa sta cambiando, ha capito la lezione della crisi. Occuparsi dei conti pubblici è stato indispensabile, una necessità ineludibile. Ma ora è molto chiaro a tutti i governi Ue che le persone hanno bisogno di risposte più chiare e comprensibili ai problemi di tutti i giorni. Letta, Merkel, Hollande, Rajoy… Da loro ho sentito in questi giorni un registro comunicativo diverso. Parlavano delle famiglie che soffrono nel vedere i figli sfiduciati con il curriculum in mano, parlavano di proteggere il lavoro e i risparmi depositati nelle banche. Stiamo ritrovando lo spirito delle origini, un’Europa dei diritti e dei lavoratori, e la stabilità del governo in Italia come altrove è un fattore indispensabile perché questo processo si consolidi. Certo ci vorrà tempo, e ci vorrà la volontà di prendere le decisioni molto più in fretta e con maggiore trasparenza». Enzo Moavero Milanesi non è uomo facile a eccessi d’entusiasmo e slanci retorici. Misura parole e interviste. Eppure, a 24 ore dal Consiglio europeo, il ministro, braccio destro prima di Mario Monti e ora di Enrico Letta in tutti i negoziati europei, avverte il bisogno di fare il punto, di registrare l’inizio di una fase nuova.

«Tra un anno ricorrerà il centenario dell’inizio della tragedia della Prima guerra mondiale. In cento anni abbiamo realizzato un miracolo di pace e benessere sociale diffuso. Questa gravissima crisi economica ha mostrato l’intenso legame che c’è tra gli Stati europei. Non si tratta di una meticolosa regolamentazione di un mercato comune, e di un’Unione economica e monetaria. È molto di più. Insieme i Paesi dell’Ue possono guardare al futuro, singolarmente è arduo anche per i più prosperi».

Ministro, la sua soddisfazione è evidente. Eppure i 9 miliardi stanziati per la disoccupazione giovanile (6 nel prossimo biennio e 3 a valere dal 2016 da dividere tra tutti i 28 Stati membri) non sembrano una gran cifra… 
Il fondo, è vero, non ha una grande capienza. Però ha un significato morale importante, è un segnale che, specialmente in Italia, aspettavamo. E poi le risorse europee hanno spesso la capacità di “calamitare” altri finanziamenti. Lo Stato, le Regioni e le stesse imprese potranno destinare allo stesso obiettivo altre risorse.

In concreto, cosa si farà con il miliardo e mezzo che dovrebbe arrivare a Roma? 
Glielo spiego da padre. Ho tre figli, e due sono nell’età di confine tra formazione e lavoro. Bene, se faremo un piano all’altezza, sarà più facile per loro, e per i loro coetanei, avere in fretta un primissimo contatto con il mondo del lavoro. Ora però dobbiamo metterci sotto, individuare le iniziative per essere operativi dal primo gennaio 2014.

Si interviene dunque su un aspetto molto limitato della disoccupazione giovanile… 
Attenzione, non bisogna incorrere in un errore. I 9 miliardi non sono l’unico stanziamento dell’Ue a favore del lavoro. Sono una cifra ad hoc individuata per dare un segnale preciso. L’Europa investe contro la disoccupazione anche con i suoi fondi strutturali. Uno strumento massiccio, corposo. E l’Italia è campione di sprechi.

Di quanto stiamo parlando? 
Noi abbiamo utilizzato appena il 40 per cento di quanto destinatoci nel bilancio Ue 2007-2013. Sommando i fondi europei al cofinanziamento nazionale, ci sono ancora 30 miliardi disponibili. E nel bilancio 2014-2020 ce ne saranno almeno altri 55. Stiamo dunque parlando di 85 miliardi per i prossimi 6 anni. È un’occasione importantissima Dobbiamo impiegare al meglio ogni centesimo, per ragioni economiche e per ragioni etiche, perché l’Italia è da anni è un contribuente netto del bilancio Ue, cioè versa più di quanto riceve.

L’Italia non usa quei soldi per incapacità di programmazione. Ma anche perché il cofinanziamento nazionale va a sommarsi al deficit… 
Stiamo negoziando affinché il cofinanziamento ai fondi strutturali venga considerato a tutti gli effetti una spesa virtuosa per investimenti produttivi.

Cosa comporterebbe? 
Poniamo che l’Italia abbia per il 2014 un deficit al 2,3%. In base alla flessibilità riconosciuta dal Consiglio Ue agli Stati che stanno sotto 113, avrebbe uno 0,6% da spendere per investimenti produttivi. Si tratta di circa 8-9 miliardi di euro. Utilizzando questo margine per la quota di cofinanziamento nazionale ai fondi strutturali, attiveremmo subito 15-16 miliardi per progetti, infrastrutture e altre iniziative imprenditoriali… Insomma produrremmo posti di lavoro stabili. E in due anni avremmo speso quei 30 miliardi che sono ancora lì in attesa di una destinazione. Tecnicamente, è la stessa operazione condotta quest’anno per pagare parte dei crediti delle imprese verso le pubbliche amministrazioni.

Serve una cabina di regia per riuscirci? 
Non mi appassiono alle formule. Non anteporrei il “come fare” al “cosa fare”. C’è chi programma bene e chi meno. Di sicuro occorre aiutare le amministrazioni in difficoltà a selezionare progetti validi. Che poi la si chiami cabina di regia, agenzia o altro, conta poco. Il punto è che si tratta di un’opportunità straordinaria rispetto alla quale non possiamo distrarci.

Non è solo colpa dei media se tutte le attenzioni sono su Imu e Iva… Qual è la sua posizione sulle polemiche di questi giorni? 
Aldilà dei botta e risposta a distanza, vorrei richiamare proprio la linea della Ue: ovunque possibile occorre alleggerire il fisco, e in via prioritaria ciò va fatto per le tasse sul lavoro e sul reddito.

In questa fase un punto di frizione forte tra maggioranza e governo riguarda i tagli alla spesa pubblica. Pensa che ci vorrebbe più coraggio? 
A mio avviso è fondamentale rendere la pubblica amministrazione più efficace e più efficiente, come ci dicono anche le raccomandazioni dell’Ue che hanno accompagnato la nostra uscita dalla procedura per deficit eccessivo. Bisogna garantire che ogni euro sia speso dallo Stato dove realmente serve e che possa produrre un risultato positivo e concreto.

Dove intervenire? 
Da un lato c’è il fronte ampio della riduzione degli sprechi, da affrontare, ad esempio, attraverso il vincolo dei costi standard. Dall’altro c’è il fronte, più delicato, delle spese non essenziali da ridurre o eliminare. Parlo delle Province, di alcuni sussidi alle imprese… L’opera di rigorosa sorveglianza della spesa pubblica deve essere un processo continuo, abituale. Non va bene procedere a intermittenza. La stessa cosa vale per il debito pubblico. Senza gli interessi sul debito, noi avremmo un bilancio in attivo. Perciò il cammino di equilibrio nei conti pubblici va proseguito, altrimenti ci comporteremmo come quei genitori che si godono la vita e lasciano i figli nei debiti. Dobbiamo anche proseguire spediti sulle riforme: rapidità per i processi civili, ammodernamento delle scuole specie di quelle professionali, liberalizzazioni… Sono cose che dobbiamo percepire come utili per noi stessi, non solo perché raccomandate dall’Ue.

Per chiudere, ministro, quale sarà il prossimo passo dell’Europa? 
A ottobre il vertice europeo avrà a tema proprio la dimensione sociale” dell’Unione. È una priorità ripresa per la prima volta dopo tanti anni. I capi di governo si concentreranno su lavoro e lavoratori, formazione professionale, diritti sociali e previdenza. Potrebbero occuparsi anche di come garantire, all’interno degli accordi commerciali siglati dall’Ue, i diritti essenziali dei lavoratori delle nuove potenze economiche mondiali. Per questo dico che l’aria è cambiata in Europa.

Nella seconda metà del 2014 l’Italia avrà la presidenza semestrale dell’Ue. Ci sarà ancora il governo Letta? 
Sì. Penso che tra i doveri per cui siamo stati chiamati al governo ci sia anche quello di presiedere il semestre Ue che inizia nel luglio 2014. Sarà così se la fiducia dei cittadini e del Parlamento ci sosterrà.

(Fonte: Dipartimento politiche comunitarie)

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento