Il decreto Monti chiari-sce che nel caso di ado-zione di aliquote all’ad-dizionale Irpef differenziate per fasce di reddito, i Co-muni devono utilizzare «e-sclusivamente» gli scaglioni di reddito stabiliti ai fini dell’Irpef dalla legge statale, nel rispetto nel principio di progressività. Termina, quindi, la querelle nata con l’articolo 1, comma 11 del Dl 138/2011, che aveva previsto, per assicurare «la razionalità del sistema tribu-tario nel suo complesso e la salvaguardia dei criteri di progressività del sistema tributario», la “possibilità” per i Comuni di stabilire a-liquote differenziate esclu-sivamente in relazione agli scaglioni di reddito Irpef. Una prima lettura del Dl 138/2011 aveva evidenziato un duplice problema, ovve-ro se i Comuni «potevano» oppure «dovevano» utiliz-zare gli scaglioni statali, e se pur adottando tali sca-glioni l’addizionale dovesse essere proporzionale, appli-cando l’aliquota di fascia a tutto il reddito complessivo, oppure progressiva, come avviene con l’Irpef. Il primo problema è stato risolto dall’articolo 13, comma 16 del Dl 201/2011 (decreto Monti) il quale ha previsto l’uso esclusivo degli stessi scaglioni Irpef. Il secondo problema non è stato affron-tato in modo esplicito, ma la nuova formulazione farebbe propendere per l’applicazio-ne in forma progressiva, con evidenti riflessi sui bilanci di Comuni e Regioni. Le due modalità di applicazio-ne portano a differenze di gettito di notevole entità e variabilità: l’applicazione progressiva determina un minor gettito che può anche superare il 30 per cento, a seconda dell’articolazione delle classi di reddito del Comune. Se il Comune ha poco spazio di manovra e deve articolare le fasce di reddito partendo da 0,7 per arrivare a 0,8%, la differen-za tra i due criteri diventa di poco conto, e serve forse più a complicare che a sal-vaguardare i criteri di pro-gressività. La progressività, invece, è garantita da ali-quote che crescono al pari di quelle dell’Irpef, e ciò avviene con le seguenti ali-quote massime: 0,43 – 0,50 – 0,71 – 0,76 – 0,8. Con tali fasce, le differenze iniziano a diventare significative con gli scaglioni più alti. Un contribuente con un reddito di 70 mila euro pagherà 532 euro se si applica il criterio proporzionale e 380 euro se si applica quello progressi-vo. Gli stessi problemi si pongono anche per l’addi-zionale regionale, la cui di-sciplina (articolo 50 del Dlgs 446/1997) è identica a quella comunale, ma non è stata interessata dalle ultime modifiche normative, che fanno sempre esplicito rife-rimento ai Comuni. È ovvio che le novità devono consi-derarsi applicabili anche all’addizionale Irpef regio-nale, anche perché sarebbe difficile immaginare due forme di calcolo distinte, uno per il comune ed uno per la regione. Tuttavia, le regioni potrebbe decidere di intervenire con una propria legge regionale, visto che in passato la possibilità per le regioni di differenziare per fasce di reddito è stata og-getto di scrutinio da parte della Corte Costituzionale (sentenza 2/2006 ed ordi-nanza 148/2006), ad avviso della quale deve escludersi che la “Costituzione stabili-sca una riserva esclusiva di competenza legislativa dello Stato in tema di progressivi-tà dei tributi”.
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