Solve et repete è un’espressione latina molto utilizzata in campo tributario. Tradotto nel linguaggio corrente significa che il contribuente deve pagare quanto dovuto o richiesto del fisco. Se poi il giudice a cui si rivolge ne riconosce le ragioni, il diretto interessato dovrà attivarsi per farsi restituire quanto indebitamente corrisposto alle casse dello Stato. Una situazione che rischia di presentarsi in modo amplificato per gli accertamenti esecutivi dal prossimo 1° luglio. Per due ordini di ragioni. La prima è che il congelamento dei pagamenti (introdotta dal Dl sviluppo) per 120 giorni dopo la presentazione dell’istanza, come ammesso anche dagli stessi giudici tributari (si veda anche «Il Sole 24 Ore» del 16 maggio scorso), rischia di non essere sufficiente a garantire una pronuncia in tempo utile sulla sospensiva. Con il paradosso di essere costretti a pagare e poi di vedersi riconosciuta la ragione. Ma anche se il giudice non decidesse a favore della sospensiva, c’è la concreta possibilità che nel merito si pronunci a favore del contribuente. I dati del Cpgt (Consiglio di presidenza della giustizia tributaria) sottolineano come le pubbliche amministrazioni (agenzia fiscali, enti locali, Equitalia e altri uffici) risulti soccombente quasi nel 60% dei casi (il valore tiene conto di “sconfitte” totali o parziali). Riottenere quanto già versato rischia di trasformarsi in una corsa a ostacoli. I termini per pagare a favore del fisco sono di tipo perentorio (si sa quando pagare), quelli per il rimborso al contribuente sono ordinatori (si sa quando dovresti incassare) e, di conseguenza, aleatori. Le norme sul processo tributario prevedono che, se il contribuente vede accolte le proprie richieste in primo grado (in media dopo più di un anno), il rimborso gli spetterebbe entro novanta giorni dal deposito della sentenza. Con la circolare 49 dello scorso anno, l’Agenzia ha sollecitato gli uffici locali ad attivarsi autonomamente in tal senso, senza attendere l’istanza di sollecito da parte del contribuente. In concreto, questi ultimi “provvedono” dopo diversi mesi e, in ogni caso, solo dietro impulso del contribuente. Un discorso a parte merita l’ipotesi in cui il contribuente debba attendere il grado di giudizio successivo per vedersi riconoscere le proprie ragioni. In questo caso, la probabilità di dover aspettare anche diversi anni diventa spesso realtà.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento