Il rispetto del termine per la conclusione dei procedimenti amministrativi e i ritardi nell’emanazione degli atti è un problema annoso che negli ultimi tempi è diventato quasi un’ossessione del legislatore. Anche il recentissimo decreto del “fare” (n. 69/2013) introduce un nuovo rimedio: l’indennizzo automatico di 30 euro per ogni giorno di ritardo fino a un massimo di duemila euro.
Come valutare questa iniziativa? Anzitutto bisogna ricordare che la prevedibilità dei tempi delle decisioni delle amministrazioni è un principio di civiltà e di efficienza. Consente infatti la programmazione delle attività dei privati che per esempio chiedono il permesso a costruire o un’autorizzazione necessaria per avviare un’attività economica. Oltre vent’anni fa la legge sulla trasparenza amministrativa (n. 241/1990) introdusse un sistema per stabilire per ciascun tipo di procedimento un termine certo. Ma subito si pose un problema: che succede se l’ufficio non lo rispetta? Le conseguenze inasprite da leggi recenti sono di più tipi: responsabilità disciplinare del funzionario negligente; nei casi più gravi responsabilità penale per il reato di rifiuto o omissione di atti d’ufficio (articolo 428 del Codice penale); intervento sostitutivo del superiore gerarchico sollecitato dall’interessato; ricorso al giudice amministrativo contro il cosiddetto “silenzio” della Pubblica amministrazione per ottenere il provvedimento richiesto anche attraverso la nomina da parte del giudice di un commissario ad acta; risarcimento per il danno da ritardo. Anche la legge anticorruzione (n. 190/2012) prevede che il responsabile della prevenzione della nominato in ciascuna amministrazione debba monitorare il rispetto dei termini procedimentali. I ritardi costituiscono infatti uno dei fattori che promuovono atti corruttivi volti a “oliare” gli ingranaggi burocratici. Il decreto del fare aggiunge ora l’indennizzo automatico (articolo 29), riprendendo una proposta avanzata già negli anni Novanta del secolo scorso (legge 59/1997).
Anzitutto il nuovo rimedio è introdotto per ora solo in via sperimentale. Vale infatti solo per i procedimenti che riguardano le imprese e tra 18 mesi si stabilirà se confermarlo, rimodularlo o abbandonarlo. In secondo luogo, il diritto all’indennizzo sorge a due condizioni: che l’interessato abbia richiesto al superiore gerarchico entro un termine perentorio di sette giorni un intervento sostitutivo; che anche il superiore gerarchico non rispetti il termine previsto per l’esercizio del potere sostitutivo. Viene meno così l’automatismo visto che si presuppone comunque una reazione dell’interessato.
Infine, il decreto del fare prevede alcune norme processuali per agevolare la liquidazione dell’indennizzo e l’invio delle sentenze di condanna alla Corte dei conti affinché questa possa recuperare il danno erariale. Con queste cautele e limitazioni è probabile che neppure il sistema dell’indennizzo sia risolutivo. Infatti, quasi mai l’interessato “osa” sollecitare il potere sostitutivo. In ogni caso, specie nei casi di iniziative economiche ritardate dalle lungaggini burocratiche, 30 euro al giorno rappresentano una magra consolazione.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento