Previste dal «salva-Italia» del 2011, prima prorogate e poi travolte da un incrocio di cambi di regole, le «centrali uniche di committenza» chiamate a semplificare e rendere meno costosi gli appalti pubblici rischiano ora di ottenere dal 1° luglio l’effetto opposto, rilanciato ieri da un allarme dell’Anci: quello di un blocco praticamente generalizzato di lavori, servizi e forniture nei Comuni che non siano capoluogo di Provincia (si veda anche Il Sole 24 Ore del 23 giugno).
Il decreto legge 90/2014 porta molte nuove regole sugli appalti, ma ne trascura una attesa dalle autonomie locali e, almeno in parte, promessa da un ordine del giorno approvato dallo stesso Governo quando è stata varata la legge di conversione del decreto Irpef. Proprio quel provvedimento ha infatti introdotto il divieto per i Comuni non capoluogo di provincia di acquisire lavori, servizi e forniture senza passare da una centrale unica di committenza, e ha stabilito l’impossibilità di rilasciare il Cig («codice identificativo gara») agli enti che provino a fare acquisti senza unirsi, costruire un accordo consortile oppure rivolgersi a una centrale unica a livello provinciale. Unioni e convenzioni, però, non sono ancora pronti, le centrali uniche rimangono tutte da costruire e il risultato probabile è uno stop generalizzato agli acquisti, con la sola eccezione di quelli che passano dagli strumenti telematici messi a disposizione da Consip e dalle centrali di committenza regionali. Ad ampliare ulteriormente il problema c’è il fatto che il blocco riguarderebbe tutti gli acquisti, senza eccezioni nemmeno quando gli importi sono più modesti. Anche per questo l’ordine del giorno che aveva anche ottenuto il parere favorevole del Governo prometteva di “liberare” gli acquisti in economia fino a 40mila euro e gli interventi più urgenti: ma di questo «regime speciale», per il momento, non c’è traccia.
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