Ma c’è un altro dato politico da evidenziare: ad agosto del 2014, quando il Patto del Nazareno era ancora vivo e vegeto e Silvio Berlusconi ordinava ai suoi senatori di votare le riforme, i sì erano stati 183, ossia appena 4 in più di ieri. Matteo Renzi esulta ancora una volta via twitter: «Grazie a chi continua a inseguire il sogno di un’Italia più semplice e più forte: le riforme servono a questo».
Per il premier il sì ottenuto ieri rappresenta un viatico per l’imminente confronto con Bruxelles sulla prossima legge di Stabilità, per quella flessibilità a cui non a caso ha fatto esplicito riferimento il capogruppo dem Luigi Zanda nel suo intervento in Aula. E a corredo arrivano anche l’approvazione alla Camera della nuova legge sulla cittadinanza e l’incardinamento delle Unioni civili a Palazzo Madama. È la dimostrazione concreta per il premier che è «finita l’epoca della politica inconcludente». Un ragionamento che indirettamente è una stilettata alle opposizioni, alla scelta di «stare fuori». L’abbandono dell’aula avvenuto prima in occasione dell’intervento del presidente emerito Giorgio Napolitano e poi al momento del voto è avvenuto senza che ci fosse una strategia unitaria. La Lega già da giorni ha infatti abbandonato l’aula; Fi lo ha deciso solo dopo la riunione con Berlusconi; i 5 Stelle se ne sono andati appena concluso l’intervento del loro capogruppo lasciando sui banchi dei cartoncini bianchi, rossi e verdi mentre Sel, pur non partecipando al voto, è rimasta in Aula. Gli unici a votare contro sono stati i Conservatori e riformisti di Raffaele Fitto, che proprio sul «no» alla riforma costituzionale e all’Italicum avevano fondato la separazione da Fi. Ma malumori restano anche dentro Ap. «Ap vota sì ma si chiude una fase politica» ha detto Gaetano Quagliariello.
Adesso l’attenzione è puntata sui prossimi passaggi. L’obiettivo è arrivare al sì della Camera alla riforma costituzionale entro la fine dell’anno, in concomitanza con la legge di Stabilità. Un’impresa a portata di mano visto che a Montecitorio dovranno essere esaminate e confermate solo le modifiche del Senato.
La commissione Affari costituzionali della Camera è già stata preallertata e il provvedimento verrà immediatamente incardinato in modo da inviarlo in aula per novembre. Dal momento dell’approvazione alla Camera scatterà la pausa di 3 mesi e quindi tra febbraio e marzo si potrebbe avere il via libera del Parlamento, che richiede la maggioranza assoluta. Poi la decisione definitiva con il referendum confermativo che, volendo correre, potrebbe anche tenersi con le amministrative di giugno ma che più probabilmente si terrà in autunno. Nessuna preoccupazione sull’esito della consultazione popolare: «Gli italiani sapranno scegliere tra un’Italia più semplice e chi vuole restare ancorato al passato», dice convinta il ministro per le riforme Maria Elena Boschi. La campagna referemdaria può diventare per Renzi lo strumento per tirare la volata alle amministrative. Ranzi è convinto di potercela fare e di arrivare con il vento in poppa fino alla scadenza naturale della legislatura nel 2018.
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