Partiti, una dieta da 132 milioni

I costi della politica. La riduzione dei rimborsi elettorali

Il Sole 24 Ore
5 Luglio 2011
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Avranno tutto il tempo di prepararsi e tutta la convenienza a non interrompere anticipatamente la legislatura in corso. La dieta dimagrante imposta ai rimborsi elettorali dalla manovra è rinviata alla prossima legislatura. La stima del possibile taglio a regime rispetto all’assegno che i partiti stanno ricevendo per le elezioni 2008 arriva a 132 milioni di euro, se si considera l’effetto cumulato dell’ultima disposizione con le novità introdotte prima dalla Finanziaria 2008 e poi dalle norme dell’estate di un anno fa. Già, perché il testo varato la scorsa settimana dal Governo aggiunge un’ulteriore limatura del 10% che porta così a un terzo la riduzione complessiva. Tradotto in “soldoni” significa che la manovra aggiunge una riduzione di altri 44 milioni di euro, calcolati sulla cifra spettante ai partiti in base alla sola tornata elettorale per le politiche 2008. Si tratta, però, di un risparmio per le casse pubbliche solo “teorico” perché l’effetto di quest’ultima porzione è spostato avanti nel tempo: «Si applica a decorrere del primo rinnovo del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati, del Parlamento europeo e dei Consigli regionali – recita letteralmente il testo – successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto». Alla fine, si tratta di un taglio “lineare” che in valori assoluti chiede sacrifici più grandi ai partiti maggiori: il Pdl, con i risultati delle elezioni 2008, alla Camera perderebbe oltre 26 milioni, il Pd oltre 23. La manovra interviene a correggere quella che era a tutti gli effetti una stortura: i rubinetti si chiudono se la legislatura finisce prima del tempo regolamentare. In pratica, se il Parlamento si scioglie in anticipo i finanziamenti saranno erogati esclusivamente per gli anni di effettiva durata della legislatura. Una regola (di buon senso) che eviterebbe quanto si è verificato proprio con l’ultima legislatura: quella 2006-2008, finita con tre anni d’anticipo dopo la caduta del governo Prodi. Nonostante questo, il periodo mancante è stato comunque abbuonato ai partiti e i rimborsi sono comunque arrivati anche a formazioni politiche che non esistevano più (dalla Margherita ai Ds, da Forza Italia ad An) e che li cumulavano con quelli ottenuti sotto le nuove insegne. Ora la manovra mette nero su bianco che in caso di “sciogliete le righe” prima del previsto «i movimenti o partiti politici hanno diritto esclusivamente al versamento delle quote dei rimborsi per un numero di anni pari alla durata della legislatura dei rispettivi organi». Nessun intervento, invece, su altre due “anomalie” che caratterizzano il sistema dei rimborsi. Le somme, prima di tutto, non sono parametrate sul numero di elettori che si recano alle urne, ma sulla più ampia base degli aventi diritto. Per accedere alla torta, poi, non occorre raggiungere un livello di consensi pari almeno a quelli previsti dalla legge elettorale per sedere in Parlamento. Alla Camera, per esempio, sono ammessi alla ripartizione i partiti e i movimenti che abbiano superato la soglia dell’1% dei voti «validamente espressi in àmbito nazionale», mentre per entrare in Parlamento serve il 4 per cento. In pratica, quindi, formazioni come La Destra-Fiamma tricolore o La Sinistra arcobaleno (lo schieramento che raccoglieva tutti i partiti della sinistra radicale) hanno diritto al rimborso pur non essendo rappresentati a Montecitorio. Discorso molto simile al Senato, dove il minimo per avere un eletto a Palazzo Madama è l’8% su base regionale; per partecipare alla ripartizione del fondo, invece, basta che i gruppi di candidati abbiano raccolto almeno il 5 per cento nella regione, oppure abbiano ottenuto almeno un eletto.

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