Meno soldi ai partiti che hanno candidato politici locali incapaci. Se il presidente di regione uscente ha mal amministrato (perché ha sforato il patto di stabilità, ha creato buchi nei bilanci della sanità o non ha risanato i conti), la compagine politica che lo ha fatto eleggere, alle successive votazioni, perderà il 30% dei finanziamenti pubblici regionali. Sarà anche attraverso questo meccanismo di moral suasion che il federalismo fiscale coniugherà trasparenza gestionale e rigore contabile. Ne è convinto Luca Antonini, presidente della commissione paritetica d’attuazione, che intervenendo a Milano a un convegno su «Federalismo fiscale e costi standard» (organizzato dai dipartimenti di economia politica e sistemi giuridici ed economici dell’Università Bicocca) ha annunciato il varo del decreto legislativo sulle sanzioni entro la prossima settimana. Il dlgs sul «fallimento politico» rappresenta per Antonini l’altra faccia del federalismo, perché «solo con sanzioni rigorose i politici locali saranno incentivati a ben amministrare». Di qui l’idea di penalizzare i partiti con il taglio ai rimborsi elettorali e il governatore incapace con la sanzione dell’incandidabilità. «Non devono più ripetersi episodi incresciosi come quello che anni fa vide protagonista l’ex presidente della regione Calabria, Agazio Loiero, il cui primo atto dopo la nomina a commissario straordinario (di se stesso ndr) per risanare la sanità fu stabilire un’una tantum del 20% ai direttori generali delle Asl». L’anticipazione di Antonini dimostra come, nonostante la crisi di governo, l’esecutivo intenda andare avanti sul federalismo fiscale. La macchina per l’attuazione della legge delega, come ha confermato anche il presidente della Commissione bicamerale d’attuazione, Enrico La Loggia, proseguirà «fino a quando il presidente della repubblica non riterrà conclusa l’esperienza di questa legislatura e paradossalmente, anche a camere sciolte, si potrà portare a compimento pezzi di riforma già avviati in sede tecnica». «Abbiamo il dovere di arrivare al federalismo anche con un atto di centralismo feroce», ha detto La Loggia, lasciando intendere che la maggioranza non è disposta a sacrificare la riforma sull’altare della crisi di governo. La dead line rimane sempre la stessa: il 21 maggio 2011, termine di scadenza della delega. «I decreti che entro quella data saranno in avanzata fase di elaborazione dovranno continuare a camminare sulle proprie gambe», ha detto La Loggia. L’incontro in Bicocca ha rappresentato la prima occasione per fare il punto sul dlgs in materia di fabbisogni standard degli enti locali dopo l’approvazione in Bicamerale di mercoledì scorso (il testo andrà oggi all’esame del preconsiglio dei ministri). La Loggia ha rivendicato la bontà dei correttivi introdotti (dalle norme a favore dei comuni ad alta marginalità montana, all’osservazione che tra le funzioni fondamentali dei comuni sia inserita anche la tutela dell’infanzia oggi dimenticata dalla Carta delle autonomie, passando per l’obbligo di sottoporre al vaglio parlamentare tutti i successivi dpcm attuativi), pur nella consapevolezza delle difficoltà a cui andrà incontro la Sose nell’individuazione dei valori di riferimento. «Non è difficile stabilire quanto un comune debba spendere in linea teorica per un asilo nido», ha osservato. «Più difficile è trovare una cifra che vada bene sia per un comune del Nord, dove i costi per gli asili sono elevati a causa dell’alta percentuale di occupazione femminile, sia per il Sud dove accade esattamente il contrario. Qualunque valore venga individuato a livello nazionale finirà col produrre sperequazioni». Dai fabbisogni standard dei comuni ai costi standard della sanità regionale il percorso sarà un po’ meno complesso («vista la mole di dati che abbiamo» ha ammesso Antonini) ma non per questo meno irto di ostacoli. I governatori per esempio (si veda altro pezzo in pagina) vorrebbero ridiscutere tutto, soprattutto sulle modalità con cui verranno scelte le regioni benchmark, e negli emendamenti al dlgs sul fisco regionale che verranno presentati giovedì prossimo al governo, propongono che il paniere sia rappresentativo di almeno un terzo della popolazione nazionale.
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