Fatto (ma non ancora noto nella sua versione finale) quello che passerà alla storia sanitaria d’Italia come il “decretone Balduzzi”, la riforma dell’assistenza del territorio e delle cure primarie rischia di restare a lungo in naftalina. Serviranno finanziamenti e una nuova convenzione. Lo dice anche il ministro, che ammette: scelta indispensabile, ma è solo il primo passo. Il sindacato principale dei medici di famiglia e quello dei pediatri benedicono il ministro della Salute (e attaccano i governatori). Ma altri sindacati accusano: solo battage per i media. Mentre le Regioni non ci stanno affatto. E perfino un leader politico di primissimo piano, il segretario Pd, Pier Luigi Bersani, mette in guardia da speranze temerarie: le risorse, domanda, dove sono?
È in questo quadro sfilacciato del mondo antico della sanità italiana che ieri si sono rincorse le prime riflessioni sul decreto di Renato Balduzzi. Mentre il testo non è ancora uscito dai box governativi per essere inviato al Quirinale con la classica “bollinatura” della Ragioneria generale. Solo ritocchi e limature, spiegano gli uffici del Governo. Ma, è sicuro, le sorprese non mancheranno. Come quella sulle slot machine: potrebbe infatti sparire (si legga l’articolo a fianco) l’obbligo della distanza minima di 200 metri da scuole, luoghi di culto e ospedali per l’apertura di nuove sale giochi. Dovrebbero essere i sindaci a definire una distanza «congrua» a seconda delle singole realtà urbane. Ma saranno potenziati i controlli per evitare l’accesso dei minori.
Il “capitolo medici”, intanto, resta al centro del dibattito. Anche considerato l’impatto che le riforme in cantiere avrebbero, oltre che sui nostri diritti di assistiti, sulla vita lavorativa di circa 200mila camici bianchi tra convenzionati e dipendenti del Ssn. Ma sarà davvero rivoluzione? E come? E quando?
Balduzzi ieri in qualche modo ha messo le mani avanti. Sull’assistenza h24 è stato gettato un ponte da cui non si tornerà indietro, ha detto. Ma per procedere servono «una convenzione nazionale e le applicazioni regionali». Appunto: ci vuole tempo. Quanto? Meglio non fare previsioni. Ma certo non sarà domani, e nemmeno tra un mese, e forse neppure tra un anno. «Se c’è la volontà bastano 6 mesi», pronostica Giacomo Milillo, segretario del primo sindacato dei medici di famiglia, la Fimmg, grande sponsor della riforma. Con lui stanno i pediatri della Fimp e gli specialisti ambulatoriali del Sumai.
Ma la pensano diversamente altri sindacati. Angelo Testa, dello Snami, pronostica che spariranno gli studi medici da molti piccoli Comuni, che i mega ambulatori nasceranno solo alle periferie delle città e avranno bisogno di almeno 300 posti auto «come i supermercati». Salvo Calì, dello Smi, denuncia «l’operazione di cosmesi venduta così bene ai media» sull’h24, di cui, prevede, «non se ne parlerà prima del 2014, se mai si realizzerà». Va fatta la nuova convenzione (con le Regioni, poi) e servono i denari.
Tutto questo mentre dal fronte dei medici ospedalieri del Ssn non arrivano esattamente venti pro Balduzzi. Costantino Troise, segretario del primo sindacato degli ospedalieri, denuncia la mobilità coatta voluta dalle Regioni, il rischio sempre più marcato di arretramento del servizio pubblico, la burocrazia che graverà sulla libera professione. Delusi anche i radiologi, fa sapere Francesco Lucà. La Cisl parla di «enfasi ingiustificata sugli ambulatori h24» e la Cgil non esita ad attaccare un decreto «confuso e contraddittorio e senza impegni chiari».
Le stroncatura si rincorrono, insomma. Con le Regioni che studiano le prossime mosse contro il decreto. I due governatori leghisti Luca Zaia (Veneto) e Roberto Cota (Piemonte) dicono: Balduzzi ci copia, l’h24 noi l’abbiamo già. Roberto Formigoni (Lombardia) twitta che «Balduzzi esulta, invece non ci siamo e i cittadini purtroppo se ne accorgeranno presto». Mentre Enrico Rossi (Toscana) ribadisce che i governatori si appelleranno al Quirinale, accusando il ministro di cercare comparsate televisive: «Forse avrebbe fatto meglio a vedere cosa ha fatto la Toscana». E poi, come si fanno le riforme a costo zero?
Già, le risorse. Dopo i tagli di questi anni e i servizi che spariscono. Quello è il muro contro cui si rischia di andare a sbattere. Lo dice a chiare lettere Pier Luigi Bersani: nel decreto ci sono cose buone e cose che vanno cambiate. Soprattutto: «Dove sono le risorse per la riorganizzazione della medicina di base? Si è sicuri di non fare proclami a vuoto? In Parlamento ne discuteremo». La sfida è aperta.
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