P.a., per le imprese oltre al danno anche la beffa

Italia Oggi
24 Giugno 2013
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Piccolo indennizzo dalla p.a. per le imprese vittime di ritardi burocratici nei procedimenti relativi all’avvio e all’esercizio dell’attività. Si comincia a sperimentare (per un anno e mezzo), nel settore delle imprese, il principio per cui basta il superamento del termine massimo per la conclusione del procedimento avviato con una istanza a fare nascere il diritto al risarcimento, che però non può superare i 2 mila euro. Ma niente risarcimento pieno: ci si deve accontentare. E bisogna chiederlo subito, altrimenti si perde tutto. Senza dimenticare che la tecnica usata (tetto massimo insuperabile all’indennizzo) favorisce l’allungamento del ritardo.

Il decreto del «Fare» (dl n. 69 del 21 giugno 2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 144 del 21 giugno 2013) da un lato introduce un istituto rivoluzionario (risarcimento per il solo ritardo), ma, dall’altro lato, costruisce un procedimento in cui per ottenere il beneficio bisogna fare una corsa ad ostacoli e in cui il vantaggio viene azzerato se l’impresa non ha diritto all’accoglimento dell’istanza.

Meglio di niente, ma il nuovo sistema potrebbe rivelarsi una puntura di zanzara sul corpo di un pachiderma.

Diritto all’indennizzo. Il sistema sembra ben congegnato: l’impresa deve essere da subito informata del diritto all’indennizzo e deve attivarsi per chiederlo; parallelamente si sviluppa anche l’iter del ricorso al Tar per ottenere i provvedimento e quello della responsabilità del funzionario pubblico.

Il governo, innanzi tutto, ha stabilito il principio: l’impresa ha diritto a che l’amministrazione pubblica sia sollecita anche a rispondere, magari bocciando la richiesta, purché senza lungaggini. Ma la p.a. non deve fare aspettare troppo, magari per poi dire di no, oppure dire di sì quando l’assenso non interessa più.

Il diritto di avere una risposta tempestiva a prescindere dall’accoglibilità della richiesta, che pure aveva trovato affermazione in qualche sentenza del Consiglio di stato, diventa regola dell’ordinamento. A ciò corrisponde il vantaggio per le imprese di sapere se un progetto può andare avanti e se un investimento merita di essere proseguito, in attesa del via libera definito dell’amministrazione competente.

La norma ha però il suo limite nella forfettizzazione dell’indennità limitata a una cifra molto bassa. Tra l’altro la norma esclude che possa essere chiesta una cifra superiore, in quanto qualifica il beneficio come «indennizzo» e non come «risarcimento». In sostanza l’indennizzo è garantito, ma se un’impresa ha subito un danno ben superiore dalla cifra massima stabilita dalla legge, se lo deve tenere e non può rivalersi sulla pubblica amministrazione ritardataria. Naturalmente ci si riferisce all’indennizzo da mero ritardo. Se la p.a. ha agito con dolo o colpa spetta anche il risarcimento.

Un percorso (anzi, una corsa) a ostacoli. Tornando all’indennizzo per il solo fatto del ritardo (senza verificare se c’è stata dolo o colpa), attenzione comunque a superare tutti gli ostacoli disseminati dalla disposizione.

Innanzi tutto deve trattarsi di un procedimento a istanza di parte, per cui la legge prevede l’obbligo di pronunciarsi: devono essere procedimenti regolati da una norma che prevede un atto finale da parte dell’ente competente. Sono esclusi i casi di silenzio-assenso o silenzio-rigetto e i concorsi pubblici.

In sostanza un’impresa presenta un’istanza e aspetta che decorra il termine massimo previsto per quel singolo procedimento.

Anche questo è un trabocchetto a sfavore delle imprese: dilatare il termine di conclusione del procedimento significa rinviare l’indennizzo.

L’impresa o il suo consulente deve premurarsi di segnare in agenda quel termine, recuperandolo dalla comunicazione che la p.a. è tenuta a fare all’inizio del procedimento (comunicazione di avvio del procedimento). E se la p.a. è negligente e non fa la comunicazione di avvio, meglio essere prudenti e recuperare il termine massimo dalla legge o dai regolamenti dell’ente, oppure chiedendolo espressamente all’ente procedente.

Anche il decreto legge vuole facilitare il compito alle imprese e prevede che nella comunicazione di avvio del procedimento e nelle informazioni sul procedimento deve essere segnalato il diritto all’indennizzo, le modalità e i termini per conseguirlo e deve anche essere indicato il soggetto cui è attribuito il potere sostitutivo e i termini a questo assegnati per la conclusione del procedimento.

Bisogna, comunque, segnarsi in agenda la data finale a disposizione delle pa, perché entro e non oltre sette giorni dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento bisogna mandare un sollecito formale all’ufficio. Se non lo si fa, l’indennizzo sfuma.

Da notare l’asimmetria: la p.a. può essere lenta, ma per essere indennizzati dalla amministrazione lenta, l’interessato deve correre e, se non lo fa, perde tutto l’indennizzo. In ogni caso così è la norma. Entro sette giorni si scrive una richiesta alla p.a. interessata e si chiede l’intervento sostitutivo e cioè che qualcuno si sostituisca al funzionario inerte e risponda.

Il termine di sette giorni è una tagliola, in quanto la stesso decreto lo definisce termine decadenziale: o lo rispetti o decadi. Chi non è decaduto potrà ottenere, a titolo di indennizzo per il mero ritardo, una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo con decorrenza dalla data di scadenza del termine del procedimento, comunque complessivamente non superiore a 2 mila euro. Questo significa che dal sessantasettesimo giorno di ritardo la p.a. non paga niente. Ma significa anche che l’impresa non può chiedere risarcimenti per perdite patrimoniali eccedenti quella cifra e tanto meno per perdita di chance o lucro cessante (salvo il dolo o la colpa).

Così come tecnicamente elaborata, la norma favorisce i ritardi lunghi. Meglio sarebbe stato individuare una somma crescente con il dilatarsi del ritardo. Come scritta non si disincentivano affatto i ritardi, li si rende solo un po’ costosi.

Una volta sollecitato l’intervento sostitutivo, il responsabile potrà, a sua volta, essere rispettoso dei tempi oppure una lumaca.

Nel caso in cui anche il titolare del potere sostitutivo sia lento e non emani il provvedimento nel termine (pari alla metà di quello massimo) o non liquidi l’indennizzo maturato a tale data, l’impresa potrà rivolgersi al Tar per ottenere giustizia. Sia per chiedere l’atto sia per chiedere l’indennizzo, oltre che, in caso di dolo o colpa della p.a., anche per chiedere il risarcimento.

Lo stato comunque ci guadagna le spese di giustizia, anche se il contributo unificato è ridotto alla metà.

Ma attenzione, se l’impresa perde la causa per infondatezza dell’istanza iniziale (se manifesta), il giudice condanna a pagare in favore dell’ente pubblico una somma da due volte a quattro volte il contributo unificato.

Si tratta di una disposizione che vuole disincentivare chi crede di poter sfruttare le norme, facendo raffiche di istanze al solo fine di lucrare sui ritardi: se le istanze sono campate in aria, non solo si rischia di non prendere nulla, ma se il Tar ritiene che l’istanza sia manifestamente infondata, si rischia di sborsare quattrini alla pa.

Novità sperimentale. Attenzione: la novità è sperimentale e non è detto che verrà stabilizzata. Il decreto afferma che le novità si applicheranno, in via sperimentale dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto «Fare», ai procedimenti amministrativi relativi all’avvio e all’esercizio dell’attività di impresa iniziati successivamente alla data di entrata in vigore.

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