Un dopolavoro per consiglieri e sindaci, una Camera ridotta a dare pareri che nessuno prenderà in considerazione, una “Camera muerta” come gli spagnoli chiamano la loro seconda Camera che pure è eletta direttamente dai cittadini. I critici della riforma del Senato e del Titolo V arrivata in questi giorni al giro di boa della terza lettura a Palazzo Madama hanno sottolineato in vari modi l’inconsistenza, a loro parere, del futuro Senato delle Autonomie. E il faro acceso per mesi sulla questione dell’elettività o meno dei futuri senatori ha fatto passare in secondo piano la questione fondamentale: ma il Senato delle Autonomie, che la riscrittura della Costituzione recita «rappresenta le istituzioni territoriali», che cosa farà? Quali saranno le sue funzioni e i suoi poteri?
Solo la Camera legifera e dà la fiducia
Partiamo intanto, per iniziare a capire che si sta disegnando una Camera tutt’altro che «muerta», dal procedimento legislativo. La riforma si propone di superare il bicameralismo perfetto che ha caratterizzato per 70 anni il procedimento legislativo italiano, un unico in Europa: una legge deve essere approvata nello stesso identico testo dalle due Camere per esser promulgata. Basta insomma cambiare una preposizione per dover tornare in terza lettura nella Camera che ha dato il primo via libera, e così via, in un procedimento che in teoria può essere infinito. Il Ddl Boschi supera in effetti il bicameralismo perfetto, o paritario, dal momento che prevede che la sola «Camera dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo».
Dove resta il bicameralismo paritario
Tuttavia ci sono alcune materie sulle quali «la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere», ossia resta il bicameralismo paritario. Ossia leggi di revisione costituzionale e altre leggi costituzionali; tutela delle minoranze linguistiche; referendum popolari; leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane; la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea. Come si vede è tutto il quadro delle regole ad essere oggetto di esame bicamerale: dall’Unione europea (si tratta di leggi quadro, non certo delle leggi di recepimento delle direttive Ue) allo Stato fino ai Comuni. Non solo. L’elenco delle leggi oggetto di esame bicamerale prosegue, facendo impallidire i fautori del monocameralismo secco: legge elettorale che regola l’elezione del Senato; trattati internazionali; ordinamento di Roma Capitale; federalismo rafforzato per le regioni “virtuose”; la clausola di supremazia dello Stato sulle Regioni; interventi finanziari speciali in favore di determinati enti locali; sistemi elettorali regionali; distaccamento e aggregazioni tra Comuni.
Le funzioni
Un elenco cospicuo, insomma. Ma il punto che più qualifica il futuro Senato non è tanto il procedimento legislativo quanto il capitolo funzioni, che come è noto è stato rafforzato dagli emendamenti a firma Finocchiaro-Zanda-Schifani-Zeller che due giorni fa hanno siglato la pace nel Pd e nella maggioranza. Il futuro Senato, non a caso composto da 75 consiglieri regionali e da 21 sindaci, esercita principalmente le funzioni di raccordo tra lo Stato e gli enti locali. Dal momento che in Italia le Regioni legiferano (così non accade ad esempio, in Francia), il Senato sarà il luogo deputato a raccordare la legislazione nazionale con quella regionale: anche questa sua funzione, oltre al fatto che nella riformulazione del Titolo V sono state tolte le materie a legislazione concorrente, contribuirà a sollevare la Corte costituzionale dai numerosi conflitti di attribuzione che in questi anni le sono piovuti addosso. Sarà insomma la Camera regionale a dover dirimere politicamente le questioni controverse. Il futuro Senato ha inoltre la funzione non di poco conto di raccordo tra Stato, enti locali e Unione europea e valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e l’impatto delle politiche Ue sui territori, oltre a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato. Nessun potere di veto, naturalmente, ma i presidenti delle Regioni avranno un luogo ben più autorevole della Conferenza delle Regioni per far valere le loro ragioni. E se le commissioni d’inchiesta del Senato sono limitate alle materie attinenti gli enti locali, per i senatori è sempre possibile istruire indagini conoscitive su tutte le altre materie e contribuire a correggere anche per questa via gli eventuali “errori” della Camera dei deputati.
La qualità della politica
Una Camera tutt’altro che inutile e senza senso, dunque. Ma come sempre accade quando si ridisegnano le regole e le istituzioni il problema è soprattutto politico: che cosa farà davvero il futuro Senato dipenderà anche dalla qualità della classe politica che ricoprirà il doppio ruolo di senatore e consigliere regionale. Se insomma i governatori useranno il futuro Senato come megafono delle loro richieste tutti i poteri e le funzioni descritte serviranno a poco, se invece la futura classe senatoriale riuscirà ad esercitare davvero il ruolo di raccordo e di verifica che la riforma le attribuisce il futuro Senato sarà un importante contrappeso della Camera dei deputati.
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