Ok allo split payment dalla Commissione europea, ma solo fino al 31 dicembre 2017

tratto da Comuni.it

26 Giugno 2015
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Lo split payment ha ricevuto l’autorizzazione da parte della Commissione Europea: si tratta di un placet quasi completo perché il documento con cui la CE accetta (solo temporaneamente) il meccanismo di inversione contabile per le cessioni e le prestazioni alla PA, deve essere ancora definitivamente accettato dal Consiglio. Se il Consiglio dicesse “sì”, la proposta scadrebbe il 31 dicembre 2017 e l’Italia si è impegnata a non richiedere il rinnovo della deroga.

Avrà tirato un sospiro di sollievo il premier Matteo Renzi, visto che l’altro meccanismo anti-evasione previsto dall’ultima legge di stabilità, il cosiddetto “reverse charge”, è stato bocciato, ma soprattutto perché se anche lo split payment non fosse stato approvato sarebbero scattate le clausole di salvaguardia, ben 1,7 miliardi di euro da pagare.

Split payment, Italia sorvegliato speciale

L’italia non deve, tuttavia, abbassare la guardia perché l’Europa controlla: infatti, dal 1° gennaio 2015, giorno dell’entrata in vigore della legge di stabilità 2015, che con il comma 629, lettera b), ha introdotto lo split payment, al 30 giugno 2016, decorsi cioè 18 mesi dalla vigenza, l’Italia deve inviare una relazione sulla situazione generale dei rimborsi IVA ai soggetti passivi interessati da tali misure e, in particolare, sulla durata media della procedura di rimborso, la vera preoccupazione della Commissione europea.

Le imprese intermedie, infatti, compensano l’IVA che incassano sulle vendite con quella pagata ai fornitori, ma poiché secondo il meccanismo dello split payment sono i Comuni a versarla direttamente all’Erario, i fornitori dovranno attendere fino a 15 mesi, se potranno compensarla con l’IVA eventualmente ricevuta da altri soggetti privati, o ancora di più se non potranno compensarla e dovranno chiedere il rimborso.

Data la delicatezza della questione, che non a caso ha sollevato l’ira dell’ANCE, secondo cui la misura causerà conseguenze disastrose per il settore dell’edilizia, già colpito dalla mancanza di liquidità dovuta ai ritardati pagamenti da parte della PA, la Commissione ha proposto di autorizzare il nostro Paese a:

1) prevedere che l’IVA dovuta sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi alle pubbliche amministrazioni debba essere versata dal destinatario su un conto bancario distinto e bloccato dell’amministrazione fiscale (derogando in tal modo l’art. 206 della direttiva 2006/112/CE);

2) imporre che nelle fatture emesse in relazione alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi alle PA sia introdotta una menzione speciale indicante che l’IVA deve essere versata su un conto bancario distinto e bloccato dell’amministrazione fiscale (derogando in tal modo l’art. 226 della Direttiva 2006/112/CE).

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