Rinviato a dopo l’elezione e il giuramento del Capo dello Stato il via libera al ddl riforme costituzionali. Lo ha deciso la Conferenza dei capigruppo della Camera. Le votazioni dei singoli articoli del ddl termineranno mercoledì 28, prima della data del 29 gennaio, quando il Parlamento si riunirà in seduta comune.
La richiesta di un rinvio è stata sostenuta per giorni dalle opposizioni, che chiedevano anche una sospensione dei lavori nelle due settimane antecedenti il voto sul Quirinale. Oggi è stato trovato l’accordo con i gruppi parlamentari, dopo che le opposizioni, che hanno fatto ostruzionismo sino a questa mattina, hanno respinto l’ipotesi di lavorare anche nella fine settimana e Sel ha sottolineato la necessità di partecipare alla propria Conferenza programmatica.
La presidente della Camera, Laura Boldrini ha espresso «soddisfazione per l’intesa raggiunta dai gruppi e per il collettivo esercizio del senso di responsabilità».
Ieri giornata intensa di votazioni. Sono stati votati gli articoli dal 2 al 6. Un brivido per la maggioranza quando, all’articolo 2, sulla composizione ed elezione del Senato, la minoranza ha fatto mancare molti dei suoi voti. I favorevoli sono stati 270, i contrari 113, 4 gli astenuti.
Il testo dell’articolo, tra l’altro, prevede che il Senato della Repubblica sia composto da 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. Inoltre, si stabilisce che «la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali sono stati eletti».
Per quanto riguarda i 5 senatori di nomina presidenziale, è il successivo articolo 3 a precisare che «il Presidente della Repubblica può nominare senatori cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Tali senatori durano in carica sette anni e non possono essere nuovamente nominati».
La maggioranza risicata che ha votato sull’articolo 2 (270 sì: molti meno dei 316 che servono a raggiungere la maggioranza assoluta) ha fatto scattare l’allarme. Molti parlamentari della minoranza Pd non hanno partecipato al voto: tra gli altri, Pier Luigi Bersani (che però ha precisato di essere assente giustificato nella giornata di ieri), Rosy Bindi, Gianni Cuperlo, Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre. Tra i 113 “no” quelli di Pippo Civati, di 8 deputati della “fronda” di FI e di 2 di Ap. Gli assenti al voto erano 68 nel Pd, 13 in FI, 9 in Ap, 6 in PI e 10 in Sc.
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