La Camera ha dato ieri in serata il via libera alla riforma del codice antimafia (281 voti a favore, 66 contrari (Fi e M5S) e due astenuti) che ridisegna le misure di prevenzione e le regole sulle confische di beni. Il nuovo codice, che dovrà passare al vaglio del Senato, fa però litigare maggioranza e 5 Stelle.
Oggetto del contendere l’emendamento presentato dal Governo che prevede che i giudici dei tribunali di prevenzione possano nominare come amministratori giudiziari anche i dipendenti di Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, una s.p.a. partecipata al 100% dal Ministero dell’economia. “È un carrozzone di soliti noti, una macchina mangiasoldi che ha avuto tanti problemi con la giustizia, indagini in tutta Italia e processi, oltre a problemi di contabilità con la Corte dei conti proprio sulla tenuta dei bilanci”, protestano i 5 Stelle che tuttavia portano a casa modifiche sostanziali alla riforma volute proprio da loro. Come, l’emendamento del Governo al codice che impedisce la nomina ad amministratore giudiziario di beni confiscati alla mafia non solo ai parenti ma anche ai “conviventi e commensali abituali” del magistrato che conferisce l’incarico, proprio come chiedeva il M5s.
È quella che viene ribattezzata la “norma Saguto”, dal nome dell’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto, sospesa dalle funzioni e indagata per corruzione con l’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara e il marito di lei Lorenzo Caramma, nominato coadiutore di diverse amministrazioni.
I 5 Stelle ottengono anche un’altra vittoria: l’assegnazione in affitto degli immobili confiscati alla mafia al personale delle Forze di Polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco che potranno provvedere a proprie spese a ristrutturarli se le amministrazioni assegnatarie non dispongano delle risorse necessarie.
In 30 articoli il testo di riforma ridisegna tutta la complessa materia delle misure di prevenzione.
Il provvedimento deriva dalla proposta di legge di iniziativa popolare per la quale grandi organizzazioni sociali come la Cgil, Avviso Pubblico, Arci, Libera, Acli, Lega Coop, Sos Impresa, Centro studi Pio La Torre raccolsero, due anni e mezzo fa, centinaia di migliaia di firme e integrata dal lavoro fatto nel frattempo dalla Commissione parlamentare antimafia. Con la riforma l’Agenzia per i beni sequestrati ne esce rafforzata, con sede centrale a Roma e un direttore (non per forza un prefetto) che si occuperà dell’amministrazione dei beni dopo la confisca di secondo grado.
Norme stringenti sono previste per gli amministratori giudiziari, che non potranno avere più di 3 incarichi e non potranno essere parenti fino al quarto grado, ma neppure conviventi o “commensali abituali” del magistrato che conferisce l’incarico.
Sequestri e confische sono previsti anche a chi favorisce i latitanti, commette reati contro la p.a. o si macchi del delitto di caporalato mentre si istituisce un Fondo di garanzia per sostenere le aziende sequestrate già finanziato. Ma la norma che provoca scintille in Aula è quella che consente ai dipendenti di Invitalia di essere nominati amministratori giudiziari di beni. Protesta il M5s ma anche la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi esprime “qualche personale perplessità” invitando “ad una sorta di sperimentazione sotto la vigilanza del Governo e della Commissione antimafia”. Ma il relatore Pd Davide Mattiello e la presidente della Commissione Giustizia Donatella Ferranti (Pd) tengono duro: “è solo una opportunità in più, tra l’altro gratis” perché, dicono, i gli amministratori li pagherà Invitalia, in quanto dipendenti.
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