Uno dei nodi più delicati da sciogliere per la riforma del catasto è la collaborazione dei Comuni. Il piano delle Entrate assegna ai sindaci un ruolo chiave, ma al momento l’Anci non ha ancora preso ufficialmente posizione, mentre si avvicina la data del 20 febbraio in cui il Consiglio dei ministri, secondo quanto annunciato dal vice ministero Luigi Casero alla commissione Finanze e Tesoro del 22 gennaio, dovrebbe addirittura varare il decreto delegato con i criteri estimativi.
Sembra chiaro, sempre che si riesca a rispettare i tempi strettissimi, che dopo la parola passerà all’Agenzia e ai Comuni: il documento presentato dalle Entrate alle associazioni riunite nel coordinamento promosso da Confedilizia – che «Il Sole 24 Ore» ha potuto consultare – affida ai Comuni la rilevazione delle caratteristiche degli immobili ordinari (case, uffici, negozi e pertinenze) e delle variabili da inserire nelle funzioni statistiche pubblicate.
Ma il ruolo dei Comuni è indicato in due passaggi chiave: quando si dice che occorre una forte cooperazione e collaborazione tra Entrate e municipi e quando (si veda lo schema nella pagina) vengono definite le attività necessarie per la riforma. In diversi passaggi vengono chiamati in causa i Comuni: il campionamento, il controllo delle funzioni statistiche e soprattutto la rilevazione delle caratteristiche qualitative e quantitative degli immobili ordinari, cioè delle variabili che debbono essere inserite nella funzione statistica. E, da ultimo, la notifica dei nuovi valori catastali presso l’albo pretorio e altri canali di comunicazione.
I Comuni saranno quindi caricati di oneri. Ma basta ricordare l’esperimento del «federalismo catastale», alcuni anni orsono, per rendersi conto che le difficoltà saranno molte. In quell’occasione, infatti, il passaggio delle funzioni catastali dall’allora agenzia del Territorio ai Comuni passava anche dal passaggio di personale e risorse. Poi tutto si bloccò per un ricorso di Confedilizia alla giustizia amministrativa. Ma ora si chiede un impegno forte nella rilevazione dei dati sul territorio, a fronte di uno “spirito di collaborazione” che molti Comuni, specialmente quelli piccoli, faranno molta fatica a onorare.
Ci sono, sì, delle risorse (quasi 200 milioni) e la possibilità di avere personale esterno assunto a tempo determinato. Ma anche solo l’attività di mobilitazione e coordinamento, che peserà sulle Entrate, si presenta irta di difficoltà. Ma la cosa che più dovrebbe preoccupare i Comuni è la tempistica: completare i nuovi valori a dicembre 2019 vuol dire impossibilità di operare sui bilanci comunali le modifiche necessarie per assicurare l’invarianza di gettito per il 2020, con il rischio di triplicare Imu e Tasi.
I Comuni non sono coinvolti, invece, nelle stime dirette, cioè nelle valutazioni “individuali” con cui saranno ricostruiti il valore patrimoniale e la rendita degli immobili a destinazione speciale (capannoni, centri commerciali e direzionali, centrali elettriche, poli logistici, cinema, cliniche e così via). In questo caso, si è preferito lasciare la responsabilità delle valutazioni agli uffici del Territorio, perché sono richieste competenze estimative molto più raffinate di quelle necessarie a rilevare – ad esempio – l’epoca di costruzione di una villetta, l’affaccio di un appartamento o la presenza dell’ascensore in un palazzo.
Lo stesso documento dell’Agenzia, però, prevede la possibilità di coinvolgere nel processo di stima diretta i tecnici esterni, da reclutare sulla base di specifiche convenzioni, a titolo non gratuito. Le professionalità coinvolte non vengono precisate, ma è ragionevole pensare che tutti i soggetti chiamati a partecipare alle commissioni censuarie possano ambire a effettuare le stime dirette. E, quindi, seguendo il Dlgs 198/2014, si può pensare in prima battuta ai geometri – che ogni anno curano il grosso delle pratiche Docfa di aggiornamento catastale – ma anche a ingegneri, architetti, periti edili, dottori agronomi, periti agrari e agrotecnici iscritti agli albi.
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