ROMA – Un quinto della manovra la pagheranno le autonomie. Stando alla bozza di manovra approdata ieri sul tavolo di Palazzo Chigi, dei 47 miliardi da reperire entro il 2014, 9,6 arriveranno da Regioni, Province e Comuni. Che vedranno cambiare le regole del patto si stabilità: dall’anno prossimo si siederanno attorno a un tavolo e pattuiranno con il Governo le nuove di modalità di rispetto dei vincoli da declinare in maniera flessibile sul territorio. Ma è una concessione che, insieme allo sconto per i virtuosi (su cui si veda l’articolo qui sotto), non basta a governatori, Anci e Upi. Tutti sul piede di guerra. Scendendo nel dettaglio della seconda sforbiciata in due anni subita dalle amministrazioni locali, dopo quella da 14,8 miliardi imposta dal decreto 78 del 2010, sembrano confermate le cifre anticipate ieri su questo giornale. Il conto più salato lo pagheranno le Regioni con una riduzione delle risorse pari a 5,4 miliardi di cui 2,4 a carico delle ordinarie (800 milioni il primo anno e 1.600 il secondo) e 3 a danno delle speciali (1 miliardo nel 2013 e 2 nel 2014). Gli altri 4,2 miliardi arriveranno dalle Province (400 milioni il primo anno e 800 il secondo) e dai Comuni (1 miliardo nel 2013 e 2 miliardi nel 2014). Il menù dei sacrifici non finisce qui perché gli enti locali di Sicilia e Sardegna dovranno staccare un altro assegno per complessivi 4,2 miliardi. Il fondo sperimentale di riequilibrio e quello perequativo previsti dal decreto attuativo sul federalismo municipale (Dlgs 23/2011) andrà ridotto di 3 miliardi. Il taglio sarà poi distribuito proporzionalmente tra i Comuni delle due isole con l’eccezione delle amministrazioni “prime della classe” per virtuosità. A loro volta le Province, sempre sarde e siciliane, dovranno rinunciare a 400 milioni di trasferimenti perequativi nel 2013 e 800 nel 2014. Insieme alla “potatura” dei fondi e agli indicatori per individuare gli enti meritevoli, la manovra introduce un metodo “pattizio” per rendere più flessibili i vincoli della finanza pubblica locale. Dall’anno prossimo, nella decina di Regioni non sottoposte a piano di rientro, Stato e governatori potranno stabilire «le modalità di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica delle singole regioni, esclusa la spesa sanitaria, delle province autonome di Trento e Bolzano, degli enti locali del territorio e degli enti e organismi strumentali, nonché degli altri enti e organismi il cui funzionamento è finanziato dai predetti enti». Nel rispetto dei criteri individuati dall’Ue su entrate e spese da considerare nel patto e con la precisazione che chi sfora deve versare, nell’esercizio successivo, una somma «pari alla differenza tra l’obiettivo complessivo e il risultato complessivo conseguito». Gli interventi destinati alle autonomie locali sono completati dalle altre misure anticipate nei giorni scorsi. Come l’inasprimento dei controlli anti-elusivi sul patto, fondato sia sull’annullamento delle manovre stipulate per aggirare i vincoli di bilancio sia sull’introduzione della sanzione di 10 indennità per gli amministratori che le hanno varate e di tre stipendi per i responsabili dei rispettivi servizi finanziari. Oppure la previsione che nel tetto del 40% per i costi del personale, oltre il quale scatta il blocco del turn over, si tenga conto delle spese per i dipendenti sostenute dalla società partecipate (eccetto le quotate). Critiche sulle scelte dell’Esecutivo sono giunte da governatori, sindaci e presidenti di Provincia. Tutte tarate sulla difficoltà (o impossibilità a seconda dei casi) di far conciliare questa nuova ondata di tagli con l’avvio del federalismo. Vasco Errani (Emilia Romagna, Pd) ha parlato di «scelte gravi che possono porre a rischio servizi pubblici fondamentali in settori come il trasporto pubblico locale e la sanità». E anche il numero uno dell’Upi, Giuseppe Castiglione (Pdl) ha lanciato il suo warning sul federalismo: «I numeri che stiamo leggendo sulle agenzie di stampa e sui giornali e misure come il paventato taglio ai fondi perequativi, rischiano di fermare un processo appena partito». Ancora più netta l’Anci che ha ravvisato «il rinvio, se non la fine, dell’applicazione del federalismo fiscale per i Comuni, che risulta essere ormai totalmente compromesso».
FEDERALISMO
La salvaguardia parte dimezzata
La nuova stretta sugli enti locali s’incrocia in più punti con il federalismo. In alcuni casi, come sul futuro patto di stabilità, esplicitamente; in altri meno. Ad esempio neanche una riga viene dedicata alle sorti della clausola di salvaguardia sui tagli del Dl 78. Che è stata già prevista per le Regioni e che i Comuni speravano di incassare a loro volta. In teoria il proposito di sedersi allo stesso tavolo nel 2012 per rivedere la “vecchia” sforbiciata rimane. Ma nasce depotenziato se l’anno dopo arriveranno comunque altri sacrifici.
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