La Corte costituzionale salva la riforma dei servizi pubblici locali, boccia le regioni che si frappongono alle scelte del Governo sul nucleare e dice no all’azzeramento dei fondi alle comunità montane. Con 3 corpose sentenze depositate ieri i giudici di Palazzo della Consulta hanno chiarito una serie di punti di grande interesse per le amministrazioni locali. Ecco, materia per materia, le decisioni assunte.
SERVIZI LOCALI
La Corte costituzionale ha rigettato, dichiarandoli infondati o inammissibili, i ricorsi presentati dalle regioni Puglia, Liguria, Emilia-Romagna, Piemonte, Toscana e Marche riguardanti diverse norme del decreto Ronchi sui servizi pubblici locali, in particolare sulla privatizzazione dei servizi idrici. La sentenza 325/2010 ha escluso che sia stata lesa la competenza regionale residuale in quanto “le regole che concernono l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, ivi compreso il servizio idrico, ineriscono essenzialmente alla materia “tutela della concorrenza”, di competenza esclusiva statale”. La Corte si richiama a precedenti decisioni per rilevare che, per quanto riguarda lo specifico settore del servizio idrico integrato, “la normativa riguardante l’individuazione di un’unica Autorità d’ambito e la determinazione della tariffa del servizio secondo un meccanismo di price cap attiene all’esercizio delle competenze legislative esclusive statali nelle materie della tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e della Costituzione.) e dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s), materie che – viene sottolineato – hanno prevalenza su eventuali competenze regionali, che ne risultano così corrispondentemente limitate”. E questo perché – spiega la Corte – “tale disciplina, finalizzata al superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche, consente la razionalizzazione del mercato ed è quindi diretta a garantire la concorrenzialità e l’efficienza del mercato stesso”, come già stabilito da precedenti decisioni della Consulta. Ed infatti, nella sentenza n. 246 del 2009 “è stato ulteriormente precisato che la forma di gestione del servizio idrico integrato e le procedure di affidamento dello stesso, disciplinate dall’art. 150 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono da ricondurre alla materia della tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale, trattandosi di regole” che – ricorda la Corte – sono “dirette ad assicurare la concorrenzialità nella gestione del servizio idrico integrato, disciplinando le modalità del suo conferimento e i requisiti soggettivi del gestore, al precipuo scopo di garantire la trasparenza, l’efficienza, l’efficacia e l’economicità della gestione medesima”.
NUCLEARE
“’Non è immaginabile che ciascuna Regione, a fronte di determinazioni di carattere evidentemente ultraregionale, assunte per un efficace sviluppo della produzione di energia elettrica nucleare, possa sottrarsi in modo unilaterale al sacrificio che da esse possa derivare, in evidente violazione dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale”. La sentenza 331/2010 boccia le leggi regionali con cui Puglia, Basilicata e Campania avevano vietato l’installazione sul loro territorio di depositi di materiali e rifiuti radioattivi, nonché di impianti di produzione, fabbricazione, stoccaggio dell’energia nucleare e del combustibile. La Consulta ha dichiarato l’illegittimità delle norme regionali in quanto esse hanno invaso la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art.117, secondo comma, lettera s), per quanto riguarda il settore dell’energia nucleare e dei rifiuti radioattivi. Ciò non toglie – afferma la Corte – che nella localizzazione degli impianti e dei depositi nucleari sia necessaria l’ “intesa tra lo Stato e la Regione interessata”; tuttavia, “la disciplina di queste forme collaborative e dell’intesa stessa spetta […] al legislatore che sia titolare della competenza legislativa in materia”. E dunque al legislatore statale. La Consulta ricorda di aver già “evidenziato la necessità di garantire adeguate forme di coinvolgimento della regione interessata” quando nel luglio scorso rigettò i ricorsi di 10 regioni (Toscana, Umbria, Liguria, Puglia, Basilicata, Lazio, Calabria, Marche, Emilia-Romagna e Molise) che avevano impugnato la legge delega 99 del 2009 con cui il governo ha fissato i principi generali per il ritorno del nucleare in Italia. E ribadisce che “in nessun caso, la Regione potrà utilizzare la potestà legislativa allo scopo di rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato che ritenga costituzionalmente illegittima, se non addirittura dannosa o inopportuna”. Le regioni potranno dunque impugnare davanti alla Consulta il decreto delegato n. 31 del 2010 in cui si indicano le aree che potranno essere scelte dagli operatori per la costruzione delle prossime centrali nucleari, ma non possono preventivamente vietare con legge regionale l’installazione degli impianti sul loro territorio.
LE ALTRE DECISIONI
Bocciato con un’altra sentenza (sentenza 326/2010) l’articolo della finanziaria 2010, che prevedeva l’azzeramento dei trasferimenti erariali alle comunità montane relativamente al fondo sviluppo e investimenti. L’Uncem, Unione delle comunità montane, sottolinea come la Consulta affermi ancora una volta che la disciplina delle comunità montane rientra nella competenza residuale delle Regioni, e che spetta pertanto a queste ultime, in base all’articolo 119 della Costituzione, provvedere al loro finanziamento, in ragione della progressiva riduzione del finanziamento statale relativo alle medesime. Per il presidente Enrico Borghi è “un segnale importante”, che conferma di fatto quanto Uncem da tempo sottopone all’attenzione del Governo circa l’illegittimità della norma e circa la necessità che le regioni subentrino alla progressiva riduzione dei trasferimenti statali alle comunità montane. E ancora (sentenza 328/2010) sui diplomi scolastici di scuole medie e superiori in lingua tedesca, italiana e ladina della Provincia autonoma di Bolzano dovrà tornare l’emblema della Repubblica italiana. La Corte costituzionale ha bocciato la deliberazione della giunta provinciale dell’aprile 2009 in base alla quale sui nuovi modelli di attestati delle scuole secondarie di primo e di secondo grado doveva figurare solo lo stemma della Provincia. La Corte ha infatti ritenuto che in questo modo sia stato violato “il principio di unità ed indivisibilità della Repubblica”, sancito dall’art. 5 della Costituzione. Sulla questione i giudici della Consulta si sarebbero però divisi.
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