Il Comune di Firenze ha tenuto per anni un comportamento discriminatorio e illegittimo nei confronti delle dipendenti che, per avere avuto una gravidanza a rischio e aver usufruito del congedo obbligatorio prima e dopo il parto, non hanno maturato 70 giorni effettivi di lavoro in un anno, e per tale motivo sono state penalizzate nella retribuzione. Lo ha stabilito il giudice del lavoro Nicoletta Taiti, che ha accolto un ricorso della consigliera regionale di parità Marina Capponi e ha ordinato al Comune di predisporre entro sei mesi «un piano di rimozione»: che consiste nella individuazione di tutte le lavoratrici che possono essere state discriminate, nella comunicazione a ciascuna di loro della sentenza, e nella ricerca di intese con i sindacati per precisare meglio i contenuti del contratto decentrato integrativo del 2003, che il Comune, secondo il giudice, ha mal interpretato. In base a questa (errata) interpretazione, le lavoratrici che a causa della gravidanza e del parto non hanno maturato i 70 giorni effettivi di lavoro sono state escluse dalla quota di premio di produttività del 70% (relativa agli obiettivi direzionali) e si sono viste riconoscere solo la minore quota del 20% per la cosiddetta produttività di sistema, sebbene il contratto integrativo decentrato del 2003 precisi che le assenze per congedo di maternità (come per infortunio o malattia professionale) non comportano la decurtazione del premio. Il giudice Taiti si è pronunciata sul caso di una dipendente comunale, vigile urbano, che nel 2004 ha totalizzato 356 giorni di assenza per maternità e per malattia connessa alla gravidanza e che si è vista negare il premio di produttività. Il Comune sostiene che esso è legato all’«impegno individuale». Obietta la Consigliera di parità: il congedo obbligatorio per maternità è del tutto indipendente dalla volontà e dall’impegno delle dipendenti.
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