La questione prende le mosse da un contratto di locazione scritto e firmato ma non registrato, per il quale il canone era stato fissato in 875 euro mensili. Il proprietario, evidentemente, non aveva voluto uscire dal nero approfittando della cedolare. E ha fatto male. L’inquilino, che non ce la faceva più, aveva semplicemente smesso di pagare nei mesi di maggio e giugno 2011. Ma, giocando d’astuzia, si era reso conto che la mancata registrazione del contratto configurava la situazione prevista dall’articolo 3 del Dlgs 23/2011, che, oltre a prevedere la possibilità per i locatori di pagare la cedola secca del 21% sui canoni, stabiliva che ai contratti registrati fuori tempo massimo si applicasse un regime speciale: durata ex novo di altri quattro anni e canone ridotto al triplo della rendita catastale dell’immobile.
Così l’inquilino aveva portato il contratto a registrare. E, come racconta l’avvocato Walter Petrucci che lo aveva assistito per conto dell’Unione inquilini romana, questo adempimento non era stato facile: gli uffici locali delle Entrate seguono infatti politiche differenziate. Comunque, una volta effettuata la registrazione, l’inquilino iniziava a pagare, da luglio, 152 euro al mese, cioè appunto il triplo della rendita catastale di quell’unità immobiliare. Il proprietario, a questo punto, chiedeva lo sfratto per morosità nei mesi maggio, giugno e luglio. Ma qui incontra il Tribunale, che nega lo sfratto per morosità semplicemente perché il contratto di locazione è nullo in quanto non registrato, come stabilsce l’articolo 1, comma 346, della legge 311/2004.
Lo scenario, quindi, diventa preoccupante per il proprietario, che cercherà di cacciare l’inquilino usando altre motivazioni (e con rito ordinario) ma si troverà comunque di fronte a un contratto ora sì registrato, con condizioni analoghe, però con durata e (soprattutto) canone diversi, attribuiti direttamente dal Dlgs 23/2011.
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